Situato nel cuore del centro antico di Napoli, il Museo Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinasticobellezza e misteros’intrecciano creando qui un’atmosfera unica, quasi fuori dal tempo.

Tra capolavori come il celebre Cristo velato, la cui immagine ha fatto il giro del mondo per la prodigiosa “tessitura” del velo marmoreo, meraviglie del virtuosismo come il Disinganno ed enigmatiche presenze come le Macchine anatomiche, la Cappella Sansevero rappresenta uno dei più singolari monumenti che l’ingegno umano abbia mai concepito.

Un mausoleo nobiliare, un tempio iniziatico in cui è mirabilmente trasfusa la poliedrica personalità del suo geniale ideatore: Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero.

 

Cristo velato: la statua
Giuseppe Sanmartino, 1753
 

Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino.

Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.

Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani. La moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.

La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma suglistrumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.

 

La Cappella Sansevero (o chiesa di Santa Maria della Pietà) è tra i più importanti edifici di culto di Napoli; è situata nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore, attigua al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero, da questo separata da un vicolo una volta sormontato da un ponte sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere al luogo di culto direttamente.


La leggenda 

Il principe di San Severo

Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside, un'altra, riportata nel 1623 da Cesare d'Engenio Caracciolo nel suo "Napoli Sacra" ("Napoli sacra di d. Cesare D'Engenio Caracciolo, napolitano. Oue oltre le vere origini, e fundationi di tutte le chiese, monasterij, spedali, & altri luoghi sacri della…", ed. Ottavio Beltrano - 1623), narra che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto verso il carcere quando, transitando lungo il muro della proprietà dei Sansevero si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente parte del muro crollò rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all'altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una "Pietà" che darà poi il nome alla chiesa che, come pochi sanno, è intitolata a "Santa Maria della Pietà". Come spesso accade, la devozione popolare darà la sua versione di tale nome talché la chiesa sarà nota anche come "La Pietatella". Per concludere la leggenda, diremo che la devozione dell'arrestato non fu invano riposta giacché, poco tempo dopo, ne venne riconosciuta l'innocenza. Scarcerato, l'uomo, memore del miracolo, fece restaurare (ma secondo un'altra versione "ridipingere") la Pietà disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento.

Il luogo sacro, come era ovvio, divenne presto meta di pellegrinaggio popolare e conseguente oggetto di invocazioni. Da tale devozione non fu esente il I Principe di Sansevero, Giovan Francesco Paolo di Sangro, che, colpito da grave malattia, alla "Pietatella" si votò ottenendone la guarigione. Nel 1593 su quella minuscola immagine, anche in concomitanza con lavori di ristrutturazione dell'attiguo Palazzo Sansevero, cominciò a nascere una cappella che la preservasse dalle intemperie.

Del 1613 è tuttavia, come si rileva da una lapide marmorea, la dedica di Alessandro di Sansevero (nipote di Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria ed Arcivescovo di Benevento, che decise di ampliare la preesistente piccola costruzione per renderla degna di accogliere le spoglie sue e dei suoi discendenti. La Pietatella diventa, così, la cappella gentilizia della famiglia ed i lavori si susseguono, con l'intervento di artisti più o meno noti dell'epoca, fino al 1642 quando, nuovamente, si interrompono per oltre cento anni. I lavori riprenderanno, infatti, solo nel 1744, con il VII Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, per non più interrompersi nel successivo trentennio. Tale sarà l'impegno che il Principe metterà in questo progetto che giungerà ad indebitarsene. Di questa attività è traccia la lapide che oggi campeggia all'esterno, sulla destra del portale laterale della cappella, quella che era però, anticamente, la porta principale:

"O passeggero, chiunque tu sia, cittadino o straniero, entra e adora l'immagine della Pietà Regina già da anni prodigiosa. Tempio gentilizio già sacro alla Vergine e abilmente ampliato nell'anno 1767 da Raimondo de' Sangro Principe di Sansevero stimolato dalla gloria dei suoi antenati, per conservare all'immortalità nei sepolcri le ceneri sue e dei suoi. Guarda scrupolosamente con occhi attenti e contempla ahimè piangendo le ossa degli eroi cariche di meriti. Quando avrai dato opportunamente culto alla Madre di Dio, un contributo all'opera, e ai defunti ciò che è giusto, pensa seriamente anche a te. Va' pure."

I migliori artisti del periodo si alterneranno nella realizzazione di opere irripetibili che, oltre al valore prettamente artistico, sommano in sé quei valori alchemici, morali, massonici e politici che sono il vero e proprio testamento spirituale di Raimondo di Sangro.

La lapide dedicatoria di Alessandro de'Sangro sull'ingresso della Cappella Sansevero

La struttura architettonica 

La Cappella è costituita da una navata unica (struttura verosimilmente risalente al 1590), rettangolare, cui si accede dal fondo (originariamente i fedeli potevano accedere da quella che oggi ne è la porta laterale, mentre un ponte sospeso collegava la Chiesa all'antistante Palazzo Sansevero). Otto cappelle laterali (quattro per lato) si snodano fino all'altare maggiore mentre al centro dei due lati lunghi, rispettivamente a sinistra e destra entrando, si aprono la porta di cui si è già detto e l'accesso alla cosiddetta "cavea sotterranea".

Tutte le opere, salvo quattro, furono commissionate da Raimondo di Sangro ed a lui si doveva anche la pavimentazione (ottenuta secondo procedimenti rimasti sconosciuti) costituita da un mosaico bianco e nero simboleggiante un labirinto (un frammento del pavimento originale, sostituito agli inizi del '900 si trova oggi addossato al muro della "cavea") di chiaro influsso massonico.

La concezione originaria (come si rileva da un allegato al testamento del Principe) prevedeva che ogni cappella laterale fosse dedicata ad un antenato mentre, in corrispondenza dei pilastri, sarebbero state sepolte le rispettive spose con una statua che ne rappresentasse una specifica virtù. A tale scopo vennero riutilizzate le quattro statue preesistenti relative al I, II e IV Principe di Sansevero, nonché ad Alessandro di Sangro, iniziatore nel 1613 dei lavori di sistemazione dell'edificio. Le altre opere furono commissionate ad autori contemporanei come Francesco Celebrano, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Giuseppe Sanmartino.

Le opere 

Numerosi furono gli Anonimi pervenuti al Re di Napoli Carlo III di Borbone (che fortunatamente non ne tenne mai conto ed anzi incitò il Principe nella sua opera) con cui si tacciava l'intero complesso di idolatria.

La Cappella Sansevero è, comunque, un concentrato di opere scultoree e pittoriche, a partire dall'affresco che ne orna il soffitto, noto come "il paradiso dei Sansevero", opera di un pittore minore, tale Francesco Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo realizzò nel 1749. Colpisce, ancor oggi, la brillantezza dei colori anche in questo caso dovuti all'inventiva di Raimondo di Sangro ed alla sua pittura "oloidrica" in cui, pare, sostituì la colla, normalmente impiegata per gli affreschi, con altre sostanze di sua concezione. L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i Santi protettori del Casato: Bernardo, Filippa, Odorisio, Randisio, Rosalia. Al disotto di questi, sei medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei Cardinali espressi dalla famiglia di Sangro.

Per l'impianto statuario, il Principe chiamò l'ottantaquattrenne Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però ad ultimare solo la statua della "Pudicizia Velata" (dedicata alla madre prematuramente scomparsa) e lasciò alcuni bozzetti per altre opere. Secondo una leggenda, a lui si dovrebbe il bozzetto originario dello stesso "Cristo velato", ma recenti scoperte hanno consentito di assegnare progettazione e realizzazione dell'opera al solo Giuseppe Sanmartino.

fig. 1: Planimetria della Cappella Sansevero con indicazione delle principali opere citate nel testo

Dall'ingresso, ed in senso orario (la numerazione fa riferimento alla planimetria qui accanto, fig. 1), le statue e le opere principali, sono così identificabili:

  1. Monumento a Cecco de' Sangro, primo principe, Francesco Celebrano;
  2. Monumento a Giovan Francesco Paolo de' Sangro, terzo principe, Antonio Corradini;
  3. Il decoro, Antonio Corradini;
  4. Monumento a Paolo de' Sangro, quarto principe, Bernardino Landini - Giulio Mencaglia;
  5. La liberalità, Francesco Queirolo;
  6. Monumento al Duca Giovan Francesco Paolo "Cecco" de' Sangro, primo principe, Giacomo Lazzari;
  7. Lo zelo della religione, Fortunato Onelli;
  8. Ritratto di Vincenzo de' Sangro, ottavo principe, Carlo Amalfi;
  9. La soavità del giogo maritale, Paolo Persico;
  10. Altare commemorativo di Santa Rosalia, Francesco Queirolo;
  11. La Pudicizia velata, Antonio Corradini;
  12. Monumento ad Alessandro de' Sangro, patriarca di Alessandria, Ignoto del secolo XVII;
  13. Angelo, Paolo Persico;
  14. La Deposizione, Francesco Celebrano e La Pietà (dipinto), Ignoto del secolo XVI;
  15. Angelo, Paolo Persico;
  16. Coretto;
  17. Il Disinganno, Francesco Queirolo;
  18. Altare commemorativo di Sant'Odorisio, Francesco Queirolo;
  19. La Sincerità, Francesco Queirolo;
  20. Monumento a Raimondo de' Sangro, settimo principe, Francesco Maria Russo;
  21. Cavea sotterranea con le macchine anatomiche (esempi di "metallizzazione umana");
  22. Il Dominio di sé stessi, Francesco Celebrano;
  23. Monumento a Paolo de' Sangro, sesto principe, Antonio Corradini;
  24. L'Educazione, Francesco Queirolo;
  25. Monumento a Paolo de' Sangro, secondo principe, Giorgio Marmorano - Giacomo Lazzari;
  26. L'Amor Divino, Ignoto del secolo XVIII;
  27. Monumento a Giovan Francesco de' Sangro, quinto principe, Francesco Celebrano;
  28. Cristo Velato, Giuseppe Sammartino (al centro della navata, ma originariamente destinato ad essere posizionato nella "cavea" sotterranea).

Esame delle principali opere 

(la numerazione fa riferimento all'elenco di cui sopra, fig. 1)

(1.) Monumento a Cecco de' Sangro 

Stilizzazione del guerriero nel monumento funebre a Cecco de' Sangro e "trasformazione" nel simbolo alchemico del piombo

Si trova proprio sopra l'ingresso della Cappella e rappresenta un guerriero armato che esce da una bara, sovrastata da un'aquila e fiancheggiata da due grifoni. Opera di Francesco Celebrano (1729-1814), fa riferimento ad un episodio leggendario della vita dell'antenato Cecco de' Sangro il quale, mentre era al servizio del Re Filippo II di Spagna, durante l'assedio al Castello di Amiens, riuscì ad entrare nella fortezza all'interno di una cassa di vettovaglie (secondo un'altra versione si fece passare per morto e gli assediati accolsero la bara per darle cristiana sepoltura) da cui uscì nottetempo ed aprì le porte agli assedianti. Al di là di quanto rappresentato, tuttavia, è interessante notare che già qui c'è un complesso simbolismo alchemico e massonico: la corazza farebbe infatti riferimento alla "pelle di leone" simbolo dello zolfo, ovvero dell'elemento maschile attivo che deve fissare l'elemento volatile, il mercurio, rappresentato dall'aquila sovrastante. I due elementi, inoltre, si "sposano" nei grifoni che hanno, appunto, testa d'aquila e corpo di leone dando così "vita" al sale (l'uovo filosofico); stilizzando la posizione stessa del guerriero (corpo inclinato per uscire dalla bara da cui sporgono solo la testa, le spalle ed una gamba) si ottiene, inoltre, il simbolo del piombo e, quindi, di Saturno. Da un punto di vista massonico, il guerriero rappresenterebbe, invece, il "Fratello Copritore" ovvero colui cui era devoluto il compito di sorvegliare e proteggere l'ingresso della loggia.

(9.) La soavità del giogo maritale 

Opera di Paolo Persico, si tratta, probabilmente di una statua dedicata (in vita) alla nuora, Gaetana Mirelli, moglie del primogenito Vincenzo. La statua rappresenta una donna vestita da antica romana con il capo cinto da una corona d'alloro. In una mano tiene due cuori infiammati (con chiaro riferimento al matrimonio), mentre con l'altra si appoggia ad un giogo le cui estremità, però, terminano con due piume ad indicare come ogni difficoltà del matrimonio sia lieve e leggera.

(10.) Altare di Santa Rosalia 

La Santa, morta alla metà del 1100 e protettrice della città di Palermo, viene annoverata tra gli antenati di casa de' Sangro essendo figlia della sorella del Re di Sicilia Guglielmo e di Sinibaldo de' Sangro.

(11.) La Pudicizia Velata 

Unica opera certa di Antonio Corradini risale al 1751 e fu voluta in memoria di Cecilia Gaetani d'Aragona, madre di Raimondo di Sangro, morta prematuramente all'età di 23 anni, quando il Principe non aveva ancora compiuto un anno. Rappresenta una donna, con il capo ed il corpo completamente ricoperti da un velo che aderisce alle forme, che poggia la mano su una lapide spezzata, proprio a simboleggiare la giovane età della defunta. La scelta della "pudicizia" come virtù della madre sconosciuta, è forse da inquadrarsi, per contrasto, nel comportamento libertino del padre Antonio.

(13. e 15.) Angeli 

Opera di Paolo Persico, fiancheggiano l'altare ed hanno particolare importanza nell'interpretazione dell'intera Cappella quale "Tempio massonico".

(14.) La Pietà 

Situato sopra l'Altare Maggiore (opera di Francesco Celebrano), sovrastato da una Colomba da cui si dipartono raggi, si trova il dipinto anonimo, risalente al '500, che dà nome alla chiesa.

(17.) Il Disinganno 

Contrapposto alla "Pudicizia Velata", dedicata alla madre, è il "Disinganno", dedicato al padre Antonio (opera di Francesco Queirolo). Rappresenta un uomo che si districa da una rete a simboleggiare come, dopo una vita di libertinaggio e di azioni nefaste, il padre abbia trovato la forza di uscire dall'inganno terreno per abbracciare la fede. Una delle tante leggende che aleggiano sul Principe di Sansevero, vorrebbe che anche questa rete (così come il velo del Cristo) sia stata "marmorizzata" con processo alchemico segreto. Durante la 2ª Guerra Mondiale, però, un soldato tedesco, per atto di vandalismo, avrebbe dato un colpo con il calcio del fucile alla rete che si sarebbe rotta rivelando che si tratta esclusivamente di marmo.

(19.) La Sincerità 

Opera di Francesco Queirolo, venne dedicata (in vita) alla moglie di Raimondo di Sangro, Carlotta Gaetani sposata nel 1730 per procura, giacché viveva nelle Fiandre, quando questa aveva solo 14 anni (gli sposi si conosceranno, di fatto, solo sei anni dopo quando, terminate le guerre che si svolgevano in Europa, Carlotta potrà raggiungere Raimondo a Napoli). Rappresenta una donna che regge con una mano un cuore e con l'altra un caduceo.

(20.) Monumento a Raimondo de' Sangro 

Una lapide in marmo con un lungo testo, non scolpito, ma in altorilievo ottenuto con procedimenti chimici dallo stesso Principe, è sovrastata da una panoplia ad indicare la vigoria e le capacità militari; accanto, un ovale in rame con un ritratto di Raimondo di Sangro (opera di Carlo Amalfi). Anche in questo caso i colori sarebbero stati di produzione del Principe ed un restauro cui l'ovale venne sottoposto anni addietro venne "rifiutato" dal quadro stesso tanto che le parti di restauro si staccarono.

(21.) Le "Macchine anatomiche" 

 

Due corpi, di un uomo e di una donna, completamente scarnificati nei quali è possibile osservare l'intero sistema circolatorio dai vasi più grandi ai capillari più piccoli

(28.) Cristo Velato 

 

È sicuramente la scultura più famosa presente nella Cappella. Si riteneva, in origine opera di Giuseppe Sanmartino su bozzetto in creta del Corradini, conservato nel Museo di San Martino, ma, recentemente, la scoperta di vari bozzetti di mano dello stesso Sanmartino consente di attribuirne a quest'ultimo la completa paternità.

Oggi al centro della navata, doveva, originariamente, trovar posto al centro della Cavea sotterranea, una sorta di "cripta" (n. 21 in planimetria), illuminata da lampade "eterne" inventate dal Principe e, studiando tale illuminazione, lo scultore esaltò le pieghe del velo che ricopre il corpo del Cristo per accentuarne la drammaticità. In origine, infatti, la Cavea doveva essere accessibile dalla sacrestia (e non dalla navata della chiesa) e doveva rappresentare la "caverna" massonica che avrebbe contenuto il Cristo, morto, sì, ma simbolo della Resurrezione, così come a nuova vita rinasceva il "fratello" nuovo aggregato alla loggia. Si tratta di un Cristo, sdraiato su un materasso, con il capo sorretto da due cuscini, il cui corpo è ricoperto (come già nella "Pudicizia") da un velo che aderisce perfettamente alle forme del viso ed al corpo stesso tanto che sono visibili le ferite del martirio. Al lato si trovano gli strumenti del supplizio: la corona di spine, una tenaglia e dei chiodi uno dei quali "pizzica" il tessuto con straordinaria plasticità. Leggenda vorrebbe, ma qualche studioso è sicuro di averne trovato la prova, che il Sammartino si sia limitato a scolpire il corpo del Cristo su cui poi, con procedimento alchemico solo a lui noto, Raimondo di Sangro avrebbe disteso un telo tessuto, trattato con procedimento chimico e "marmorizzato". Secondo un'altra leggenda, il Principe avrebbe magicamente consentito all'autore di scolpire il corpo "sotto" il marmo del velo. Qualunque sia la verità, l'opera è così splendida che Antonio Canova, che tentò di acquistarla, dichiarò che volentieri avrebbe ceduto addirittura il suo nome pur di esserne l'autore. Quanto alla prova del procedimento alchemico, la giornalista Clara Miccinelli esibì in un suo libro, anni addietro, copia di un contratto ritrovato presso l'archivio notarile di Napoli tra lo scultore Sanmartino e lo stesso Raimondo di Sangro con cui quest'ultimo commissionava l'opera scultorea e si impegnava a fornire personalmente la sindone con cui ricoprire il corpo del Cristo che, dopo un trattamento segreto, sarebbe sembrata parte integrante della scultura stessa.

Chiesa o Tempio Massonico? 

Nel 1744, contemporaneamente all'inizio dei lavori di restauro e sistemazione definitiva della Cappella, Raimondo di Sangro entra nella "Libera Muratoria" e diventa "Fratello massone". Salita tutta la gerarchia delle logge diverrà "Gran Maestro di tutte le logge napolitane" fino al 1751 quando, con un editto scaturente dalla scomunica di Papa Benedetto XIV, Re Carlo di Borbone è costretto a dichiarare fuorilegge la massoneria bandendola dal Regno di Napoli.

fig. 2: Schema del Tempio massonico

L'iscrizione alla massoneria del Principe di Sangro appare tuttavia permeare l'intera vita e le opere di Raimondo trasparendo pienamente nell'impianto stesso della Cappella gentilizia. Già nel "Monumento a Cecco di Sangro" (n. 1 in planimetria) era abbastanza chiaro il sottinteso massonico, ma non solo in tale opera se ne deve trovar traccia bensì nell'intera chiesa, nel suo insieme. Per comprendere appieno la "trasposizione" della Cappella da Chiesa a "Tempio Massonico" è però necessario premettere uno schema delle simbologie proprie di quest'ultimo (fig. 2).

Ora, con un ben comprensibile e giustificato sforzo mentale, ferme restando le pareti, proviamo a ruotare in senso orario, di un quarto di giro, tutte le statue, e solo le statue, all’interno della Cappella. In fig. 3 tale rotazione è stata effettuata e, ove ciò accada, si è provveduto ad indicare la "sovrapposizione" delle statue di cui alla fig. 1 (indicate con numeri progressivi) con le simbologie e gli elementi del "Tempio" di cui alla fig. 2 (indicati con lettere) (es.: "1=a" indica che la statua 1 corrisponde al simbolo "a").

fig. 3: la Cappella Sansevero dopo la "rotazione" delle statue

Si rammenti che, in origine, la porta principale non era quella attuale, ma quella che si apre sul fianco sinistro della navata che è, così, ad Occidente come appunto quella del Tempio. A questa si sovrappone, dopo la "rotazione", il "Monumento a Cecco de Sangro" talché alla lettera "a", l’ingresso, ecco porsi a guardia il "Fratello Copritore" (1), armato, che deve evitare l’intrusione di estranei alla Loggia.

Il pavimento originario, poi sostituito agli inizi del '900, era in mosaico bianco e nero, ed ecco così ricreato quello contrassegnato dalla lettera "g" mentre, ai lati dell’ingresso, alle colonne bianca ("b") e rossa ("c") vengono rispettivamente a sovrapporsi le statue dell’ "Amor Divino" (26), la "stabilità", e del "Decoro" (3), la "forza".

Ai due "Fratelli Sorveglianti" ("e" ed "f") ecco sovrapporsi rispettivamente "L’Educazione" (24) e "La Liberalità" (5). Acquistano qui importanza i simboli che le statue offrono: "L’Educazione", infatti, è caratterizzata da una verga tenuta nella mano destra a simboleggiare il "maglietto" (ovvero il martelletto del Gran Maestro) e da un bimbo che indossa un "grembiule" dello stesso tipo di quello indossato dai "muratori"; "La Liberalità", a sua volta, reca alcune monete nella mano destra, per pagare i "muratori", mentre con la sinistra regge una cornucopia a rappresentare la trasmutazione dei metalli propria degli alchimisti.

Di fronte all’ingresso viene a trovarsi (fermo il sepolcro del Principe di Sansevero che non è una "statua" e pertanto non si sposta), dopo l’immaginaria rotazione, l’Altare maggiore con "la Deposizione" (14) che così concretizza il Trono del Gran Maestro (lettera "o" del Tempio) occupato, peraltro, da un vero Gran Maestro: il sepolcro proprio del Principe di Sansevero. I raggi divini, che dipartono dalla colomba che sovrasta l’altare, realizzano il compasso, il "Triangolo" simbolo dell’ "Architetto Universale".

Si tenga presente che sia l’altare che il monumento sepolcrale del di Sangro si trovano, così, ad Oriente, in una sorta di "nicchia" che è di fatto separata dal resto della navata (la balaustra di cui alla lettera "n" del Tempio in fig. 2).

Ai lati dell’Altare maggiore si troveranno gli "Angeli" di cui ai n.ri 13 (detto anche "Angelo orante") e 15 (detto anche "Angelo della Morte" che regge una penna ed una pergamena) della fig. 1 che, rispettivamente, si sovrapporranno al "Fratello Oratore" ("l") ed allo "Scriba" (m).

Ai lati degli angeli saranno, ancora, a sinistra guardando "La Pudicizia Velata" (11 in fig. 1) che rappresenterà il principio femminile e, quindi, la Luna (lettera "p" in fig. 2) , ed "Il Disinganno" (17), principio maschile e, quindi, il Sole (lettera "q").

Tutte le statue, infine, in numero di dodici (se si esclude il "Cristo Velato" che non era destinato alla Cappella, bensì alla Cavea sotterranea) rappresenteranno i dodici segni dello zodiaco di cui alla lettera "d" della fig. 2