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Portale di Ferdinando Sanfelice

Lo storico Palazzo Filomarino di Napoli è ubicato al numero 12 di via Benedetto Croce (Spaccanapoli).

Abitato nei secoli da importanti famiglie nobili locali, divenne residenza del filosofo Benedetto Croce fino alla sua morte nel 1952. Ospita oggi l'Istituto Italiano per gli Studi Storici e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce.


I Sanseverino di Bisignano (linea dei conti di Tricarico)

La costruzione del palazzo è attribuita a Giovanni Francesco di Palma, allievo e genero dell’architetto Giovanni Donadio, detto il Mormando. Il Palazzo Sanseverino di Bisignano, poi detto Filomarino, sorge sul luogo in cui nel Quattrocento aveva casa un certo Giovannello Brancaccio.

È difficile stabilire con esattezza quando la dimora sia venuta in possesso della famiglia Sanseverino di Bisignano; in un documento della seconda metà del XV secolo si legge, infatti, che ogni volta in cui il principe di Bisignano, Girolamo Sanseverino, veniva a Napoli dalla Calabria, era ospitato nel palazzo (poi trasformato nella chiesa del Gesù Nuovo) che apparteneva a un suo parente, il principe di Salerno. Qui i due cospiravano contro la dinastia aragonese, ma mentre dopo la cosiddetta “congiura dei baroni”Antonello Sanseverino, principe di Salerno, riuscì a sottrarsi alla vendetta regia fuggendo a Roma, il Bisignano fu imprigionato nel 1487 a Castel Nuovo, dove morì di lì a poco in circostanze oscure: sopravvissero, però, i suoi giovani figli, tant'è che uno di essi, Bernardino, rientrò a Napoli al seguito di Carlo VIII di Francia e, volgendo al peggio le sorti delle armi francesi, si riconciliò con Ferrante II d'Aragona. Ma, succeduto a quest’ultimo lo zio Federico, Bernardino fu costretto di nuovo a riparare in Francia, presso Luigi XII; nel maggio del 1507, tuttavia, lo troviamo nuovamente a Napoli, insieme con la moglie Eleonora Piccolomini dei duchi di Amalfi.

La vita coniugale del Bisignano ebbe un epilogo tragico: nel 1511 Eleonora morì, forse proprio per opera del consorte, il quale aveva scoperto la tresca di lei col cardinale Luigi Borgia.

Cortile del palazzo

Nel frattempo i Sanseverino avevano acquistato casa Brancaccio, corrispondente all'ala ovest dell'odierno palazzo Filomarino; Bernardino volle ampliare – ma sarebbe più giusto dire ricostruire – quella primitiva dimora. A questo scopo egli chiese nel 1511 allaRepubblica di Venezia un terreno adiacente l'edificio che re Ladislao d'Angiò-Durazzo aveva donato alla Serenissima nel 1412perché servisse come abitazione dei cittadini di quello Stato residenti a Napoli.

I lavori di ampliamento cominciarono nel 1512, sotto la direzione, appunto, di Giovan Francesco di Palma. Questi realizzò una struttura imperniata attorno a un vasto e spettacolare porticato interno, sicché il palazzo dei Sanseverino di Bisignano è, insieme con Palazzo Gravina e Palazzo Santobuono, la sola dimora patrizia napoletana che conservi il loggiato su tutti e quattro i lati del cortile. Nel nostro caso la grande arcata, in corrispondenza dell’androne, ricalca la composizione ionica di origine mormandiana, creando un notevole effetto scenografico con i due archi laterali che danno inizio al porticato. Ma palazzo Bisignano si segnala anche per la molteplicità degli stili che caratterizzano la sua fabbrica. Infatti il fastoso portale è di epoca barocca, opera dell'architetto Ferdinando Sanfelice, mentre i balconi del secondo piano sono disegnati secondo un gusto inequivocabilmente neoclassico; alcuni restauri compiuti nel Novecento sulla scala hanno poi fatto venire alla luce due archi ogivali, resti, indubbiamente, d'una precedente costruzione angioina. In effetti, come ha dichiarato Gerard Labrot, il palazzo nobiliare napoletano si evolve "nella più continua discontinuità", attraverso ripetute aggiunte o sostituzioni di inserti eterogenei. Tuttavia, a proposito di palazzo Filomarino della Rocca più che di aggiunte si deve parlare propriamente di "scontro violento" di stili. Chi si scandalizza di questo ibridismo volutamente perseguito non tiene conto del fatto che esso corrisponde ad alcune esigenze profonde del committente aristocratico; questi manifesta in maniera programmatica il suo disprezzo verso le astrazioni stilistiche e le norme costruttive poiché, modellando l'architettura del palazzo "a gran colpi di spada", intende affermare immediatamente e concretamente l'arbitrio della potenza e dello sfarzo. E sfarzo e potenza non mancarono nei diversi rami della famiglia Sanseverino, che arrivò a beneficiare d'una tale quantità di privilegi da costituire, secondo Benedetto Croce, un vero e proprio "Stato nello Stato". I Bisignano, in particolare, raggiunsero l'apice della loro fortuna con Pier Antonio, figlio del suddetto Bernardino, il quale fu molto vicino all'imperatore Carlo V, al punto che armò a sue spese alcune galee per assistere il sovrano nell’impresa di Tunisi del 1535.

Di ritorno dalla città africana Carlo venne ospitato dal Bisignano prima nei suoi feudi calabresi e poi nel palazzo di famiglia a Napoli, ove Pier Antonio fece abbattere le mura divisorie di alcune stanze per ricavarne un maestoso salone di rappresentanza. Pier Antonio acquisì reputazione di moderato nel corso dei tumulti che scoppiarono a Napoli nel 1547 contro il tribunale dell'Inquisizione, quando egli operò da mediatore presso il popolo, sostenendo il viceré Pedro Álvarez de Toledo. Con suo figlio, Nicola Bernardino, morto nel 1606, i Bisignano si estinsero; il palazzo presso San Sebastiano venne allora comprato da Tommaso Filomarino, aristocratico appartenente a un’antica famiglia che nel 1559 aveva ottenuto la contea di Rocca d'Aspide, innalzata a principato nel 1610.

Altra visuale del cortile

I Filomarino 

Durante il XVII secolo i Filomarino della Rocca si distinsero con il principe Francesco, che intervenne efficacemente nella rivoluzione popolare del 1647-48. Egli agì da paciere tra i "lazzari" che propugnavano la sommossa e l'autorità spagnola; fu infatti nominato "grassiere", ovvero prefetto dell'annona, da Masaniello, ma al tempo stesso intavolò trattative con il comandante delle truppe iberiche assedianti, Don Giovanni d'Austria. Contribuì, inoltre, a rintuzzare le pretese accampate sul trono di Napoli da Enrico II, duca di Guisa, in qualità di discendente di Renato d'Angiò.

Alla fine il principe della Rocca si accordò con Gennaro Annese, il quale era diventato capitano del popolo napoletano dopo la morte dello stesso Masaniello: il 6 aprile 1648, mentre l’esercito spagnolo entrava nei quartieri ribelli della città, il Filomarino si recò a rendere omaggio a Don Giovanni d'Austria a Portalba, ottenendo contemporaneamente dall’Annese la pacificazione di Napoli. Durante la rivolta, però, il palazzo del principe della Rocca aveva subito gravi danni; la casa, infatti, era stata utilizzata dai popolani come avamposto dal quale essi avevano fronteggiato gli spagnoli attestati sul prospiciente campanile della Chiesa di Santa Chiara. I combattimenti tra le due parti infuriarono a partire dal 7 ottobre 1647 e continuarono per molti mesi. In questo lasso di tempo i rivoluzionari occuparono la vicina Chiesa di Santa Marta, ma ben presto furono costretti ad indietreggiare e ad arroccarsi nella parte bassa del monastero di San Sebastiano e all'interno della dimora dei Filomarino; da qui, attraverso un passaggio sotterraneo, tentarono addirittura di porre una mina sotto il campanile di Santa Chiara, per far saltare in aria il presidio spagnolo.

Il 9 marzo 1648 i soldati di Filippo IV di Spagna sottoposero a un fitto bombardamento le postazioni dei lazzari: le cannonate devastarono la zona intorno al Gesù, trasformando in un rudere la chiesetta di Santa Marta e abbattendo la parte superiore della casa del principe della Rocca. Questi si dedicò subito alla ricostruzione del palazzo, successivamente abbellito dal suo erede, il fratello Giambattista e dal di lui figlio Francesco, che ne divenne proprietario nel 1685. Fu proprio il principe Francesco Filomarino della Rocca ad allestire nella sua casa quella galleria d’arte ricordata da Carlo Celano nella terza giornata delle Notizie con viva ammirazione; essa conteneva circa duecento quadri dei più importanti pittori degli ultimi tre secoli, una raccolta di trecento ritratti di uomini e donne famosi, medaglie, cammei ed altre "galanterie" d'argento e cristallo.

All'inizio del Settecento l'ottavo principe della Rocca, Giambattista, commissionò a Ferdinando Sanfelice l'esecuzione del portone che ancora oggi si vede. Il matrimonio di questo aristocratico napoletano con Maria Vittoria Caracciolo, marchesa di Sant'Eramo, avvenuto nel 1721, occupa un piccolo posto nella storia della letteratura e della filosofia, poichéGiambattista Vico, che era stato precettore dello sposo, compose in tale fausta occasione la sua opera poetica di maggior rilievo, l’epitalamio Giunone in danza, nel quale l’autore della Scienza nuova accenna a Palazzo Filomarino nei seguenti termini: «Questa augusta magione, e d’oro e d’ostro riccamente ornata, ove 'n copia le gemme, in copia i lumi spargon sì vivi rai...».

Benedetto Croce 

Nella prima metà dell’Ottocento la famiglia dei della Rocca si estinse con il principe Giacomo; alla sua morte, avvenuta nel 1840, il palazzo era già stato diviso fra diversi proprietari. Successivamente Benedetto Croce acquistò il secondo piano dell’edificio.

Il filosofo napoletano tenne proprio nella dimora del principe della Rocca alcune dissertazioni sulla sua dottrina, come egli stesso ricorda nelle Notae del Diritto universale, dedicate al Filomarino. Qui – nel 1946 – Croce fondò l'Istituto Italiano per gli Studi Storici in un appartamento adiacente a quello suo personale, nel quale chiuse la propria esistenza il 20