Sulla città di Napoli hanno regnato due regine col nome di Giovanna, entrambe appartenenti alla famiglia d'Angiò, la prima nipote di re Roberto e la seconda sorella di re Ladislao.
Le efferatezze che si narrano sono il risultato di una sovrapposizione delle due regine che avevano, più o meno, lo stesso carattere.
Il Castel dell'Ovo era detto, anticamente, "della regina Giovanna" e tra quelle rovine si dice che si ritrovano ancora le profonde fosse, armate un tempo con aguzze punte di spade e con lame di rasoi, i "trabocchetti", nei quali precipitavano gli amanti della regina all'uscita dal suo talamo.
Ancora, si racconta che la regina andava in giro per le scuderie a godere l'uno dopo l'altro dei suoi palafrenieri, come una novella Semiramide fece diventare lecito tutto l'illecito e morì di una morte orrenda da Pasifae in un amplesso non già con un toro bensì con un cavallo di cui si era innamorata, essendosi stancata degli uomini.
Della prima si parla anche in Francia  perchè fu anche contessa di Provenza e, nella lontana Svezia, corse fama dell' amore con un giovane svedese capitato a Napoli e qui morto, Carlo Ulfsson, il figlio di santa Brigida.
Anche in letteratura ebbe diffusione perchè fu soggetto di tre drammi spagnoli, uno dei quali di Lope de Vega, una tragedia francese del Magnon, due inglesi del Savage e una provenzale del Mistral.
Col tempo la fama nefasta della seconda regina Giovanna soverchiò anche fuori Napoli quella della prima, uno dei suoi tanti amanti, Pandolfello Alopo, fu fatto ammazzare dal marito, il conte Giacomo de la Marche, che poi l'abbandonò e si fece frate, e una altro, Sergianni Caracciolo, lo fece ammazzare lei.
Nella realtà la prima si sa che fece ammazzare, o lasciò morire, il suo giovane marito, Andrea d'Ungheria,  ebbe altri tre mariti ed ella stessa morì strozzata nel castello di Muro per ordine di Carlo di Durazzo. Di lei non esiste in città alcun ricordo, nè la tomba, nè alcun ritratto certo.
Della seconda, invece, si può vedere la statua nel grande monumento che ella fece erigere al fratello Ladislao nella chiesa di San Giovanni a Carbonara e la tomba che si trova ai piedi dell'altare maggiore della chiesa dell'Annunziata.