La chiesa di Santa Maria Donnaregina, o "chiesa di Santa Maria Donnaregina vecchia" è una chiesa della città di Napoli costruita agli inizi del XIV secolo in stile gotico per il convento omonimo di monache clarisse.
Si trova nel centro storico della città, nei pressi del Palazzo arcivescovile e del duomo di Napoli. È anche chiamata Donnaregina Vecchiaper distinguerla dalla omonima chiesa del XVII secolo, denominata, infatti, Donnaregina Nuova.
Il complesso originario occupava un'insula doppia della città greco-romana ed è attestato a partire dal 780 come "convento di San Pietro del Monte di Donna Regina"[1], appartenente alle monache basiliane. Il convento era dotato di una porta difesa da una torre. Nel IX secolo passò alle monache benedettine, che lo intitolarono a Santa Maria. Nel corso del XIII secolo passò alla regola delle clarisse.
Sotto Carlo I d'Angiò, il monastero fu adibito a prigione per i nobili avversari della casa regnante. Il convento fu danneggiato da un terremotodel 1293, e venne ricostruito dalle fondazioni grazie alle donazioni della regina di Napoli Maria d'Ungheria. La nuova chiesa, aperta al culto nel 1316 venne consacrata nel 1320 e la regina vi venne sepolta in una tomba monumentale, opera di Tino da Camaino completata nel 1326.
Nel 1390 il tetto della chiesa fu danneggiato da un violento incendio ed i lavori di restauro furono commissionati dalla regina Giovanna II d'Angiò, come gli ulteriori restauri dovuti ai terremoti che si susseguirono nel XV secolo.
Nel XVI secolo fu aggiunto al complesso un nuovo chiostro e nel XVII secolo venne costruita una seconda chiesa, (Donnaregina Nuova), in origine direttamente accessibile da quella più antica, che fu riservata alle monache.
L'ampliamento di via Duomo decretato nel 1860 richiese l'abbattimento di una parte del complesso conventale. Il convento venne soppresso nel febbraio del 1861 e la chiesa vecchia passò al comune di Napoli. Suddivisa in vari ambienti, divenne sede di uffici delle guardie municipali (1864), di una scuola froebeliana (1865), di abitazioni provvisorie per i poveri (1866-1872). Ospitò in seguito la Corte d'assise e dal 1878 la commissione municipale per la conservazione dei monumenti. In seguito ad una decisione del consiglio municipale vi fu aperto tra il 1892 e il1902 il "Museo della città" e dal 1899 ospitò la sede dell'Accademia Pontaniana.
Le due chiese, originariamente collegate, furono separate nel 1928-1934, in occasione dei lavori di Gino Chierici che eliminarono le suddivisioni interne della chiesa vecchia per rendere visibili le strutture gotiche dell'abside della chiesa più antica, che si poté ricostruire grazie all'accorciamento e la parziale demolizione del coro di quella più recente. Il sepolcro di Maria d'Ungheria, che era stato spostato nella nuova chiesa in una posizione scenografica nel 1727, fu di nuovo trasferito nella chiesa vecchia, in corrispondenza della navata sinistra.
Attualmente il convento è sede della "Scuola di perfezionamento di restauro" dell'università di Napoli.
La chiesa ha un'unica navata di cinque campate e termina con un'abside poligonale (composta dai cinque lati di un ottagono), preceduta da uno spazio rettangolare. Il coro delle monache è costituito da una struttura sopraelevata su sei pilastri ottagonali che sorreggono volte a crociera, posto presso l'ingresso; mentre, la sua altezza e quella del pronao, si conclude in uno slancio unico con l'altezza dell'abside stesso, avviando una particolarità architettonica che sarà in seguito osservata anche in alcune chiese tedesche.
Dall'esterno lo spazio sottostante il coro, una sorta di sala a tre navate, è illuminato da piccole finestre, mentre la parte a tutta altezza prima dell'abside presenta grandi finestremonofore.
La zona absidale conserva resti della pavimentazione, in cotto maiolicato, esempio di arte ceramica napoletana in età angioina, databili tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. Sia l'abside che lo spazio antistante sono coperti da volte a crociera, mentre il tetto della navata è invece a capriate, nascoste da un soffitto cassettonato, decorato al centro da un rilievo con Incoronazione della Vergine, opera cinquecentesca di Pietro Belverte.
Sulla parete di sinistra della navata della chiesa, invece, è collocato il monumento sepolcrale di Maria d'Ungheria, opera trecentesca di Tino di Camaino. La facciata della chiesa si apriva su una corte interna e presentava due monofore con un oculo soprastante ed è decorata dallo stemma della regina. Tra le altre opere va annoverato un Martirio di Sant'Orsola e delle sue compagne del 1520 probabilmente eseguito da Francesco da Tolentino.
L'accesso attuale alla chiesa è situato su vico Donnaregina, attraversato un cancello, ci si trova in prossimità dell'abside.
Affreschi trecenteschi
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L'interno della chiesa conserva un ciclo di affreschi realizzati tra il 1307 e il 1320.
Le scene affrescate si sviluppano su due registri: in quello inferiore sono presenti diciassette Scene della vita di Cristo, cinque Scene della vita di santa Elisabetta e quattro Scene della vita di santa Caterina; il registro superiore conserva sei Scene della vita di Sant'Agnese.
A Pietro Cavallini sono probabilmente da ascrivere un Giudizio Universale sulla parete di fondo del piano superiore, con alcune raffigurazioni di apostoli e di profeti, mentre le raffigurazioni di San Lorenzo e di Santo Stefano sarebbero da attribuire invece più verosimilmente a discepoli, forse napoletani, del maestro.
La "cappella Loffredo", a pianta rettangolare e coperta da una volta a crociera, conserva gli affreschi dell'Annunciazione (parete di fondo) e della Crocifissione, sulla parete sinistra. La datazione e l'attribuzione sono discusse e i dipinti riprendono spunti giotteschi e presentano reminiscenze bizantine.
Le storie della Vita di Cristo e le scene della Passione, morte e risurrezione sono affrescate sulle pareti del coro delle monache. La loro composizione riprende schemi presenti negli affreschi di Giotto presso la basilica di San Francesco d'Assisi: le ipotesi di attribuzione sono discordanti (Pietro Cavallini o Filippo Rusuti). Le scene della Vita di Santa Elisabetta sembrano avvicinarsi all'arte di Simone Martinie di Giotto, pur nell'incertezza circa la loro attribuzione. Stesse difficoltà di attribuzione vi sono per le Storie della vita di Santa Caterina e di Sant'Agnese, tuttavia secondo le più recenti ipotesi l'esecuzione di queste opere sembrerebbe da attribuirsi a Filippo Rusuti.
Infine, due affreschi che rappresentano La Crocifissione si possono ammirare ai lati dell'arco tronfale, forse l'uno la copia dell'altro.
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