La Galleria Principe di Napoli è una galleria commerciale di Napoli.
Su progetto degli architetti Nicola Breglia e Giovanni De Novellis, nell'ambito di un notevole rinnovamento urbanistico che interessava tutta l'area circostante (la cosiddetta bonifica delle Fosse del Grano), la sua costruzione fu iniziata nel 1870 ma i lavori furono dopo poco sospesi; dopo periodi alterni di avanzamento e di stasi, i lavori di costruzione vennero ripresi nel 1877 e definitivamente completati nel 1883.
La galleria fu costruita in muratura, con una copertura in ferro e vetro. È costituita da tre bracci, ognuno dei quali termina con un'uscita. Era prevista anche la costruzione di un quarto braccio, ma non fu possibile realizzarlo per la presenza della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Di fronte al Museo Archeologico, l'uscita della galleria si inserisce in un ampio porticato. È singolare notare che le tre uscite della galleria sono caratterizzate da scalinate di lunghezze diverse, a causa del dislivello presente tra la varie strade sulle quali la galleria si affaccia.
A causa della mancanza di manutenzione e del suo degrado, nell'agosto 1965 crollò la facciata del suo ingresso su Piazza Museo. Per due anni non fu intrapreso niente, a parte l'erezione di due barbacani per puntellare la Galleria che presentava comunque delle gravi lesioni. Poiché il suo stato era alquanto fatiscente, e generalmente fu riconosciuto che per la Galleria non si era mai realizzata quella funzione per la quale era stata costruita, fu proposto da più parti - anche da enti e personalità di rilievo - un suo definitivo abbattimento per realizzare al suo posto un edificio per uffici e abitazioni, o un'area verde, o un parcheggio sotterraneo per il Museo. In particolare il "Sindacato Architetti Liberi Professionisti per la Campania" propose al Comune di Napoli una ristrutturazione dell'intero isolato, avendo in ciò l'appoggio - seppure non ufficiale - del soprintendente archeologo Alfonso De Franciscis; per questa ragione non videro di buon occhio lo stanziamento - seppure tardivo nel 1967 - da parte del Comune di 107 milioni di lire per la ricostruzione della facciata crollata, giudicandolo uno sperpero di denaro pubblico[2]. Nonostante ciò nel giugno-luglio del 1969 furono intrapresi ed infine realizzati quei radicali lavori di restauro che ci hanno conservato la Galleria fino al giorno d'oggi.
La galleria non è mai stata quel centro commerciale che era nelle intenzioni dei committenti e dei realizzatori, poiché ospitando soprattutto uffici comunali, è - dopo il loro orario di chiusura - sostanzialmente un luogo privo di vita, fatta eccezione per i turisti che la attraversano, per dirigersi o tornare dal Museo Archeologico.
Diventando terra di nessuno, nel pomeriggio, essa si rianimava soltanto dei ragazzini del quartiere che, privi di spazi ludici in zona, la utilizzavano come campo di calcio, distruggendo sistematicamente a pallonate tutte le bocce di vetro delle illuminazioni della galleria, anche quando queste venivano ripristinate, soprattutto in occasione di sfilate di moda. Per impedire vandalismi ed un degrado maggiore, di notte la Galleria non era accessibile, venendo chiusi i suoi cancelli. Ciò non impediva lo stazionamento sotto i porticati antistanti di ogni genere di senzatetto, dagli immigrati clandestini, agli alcolisti, ai barboni che utilizzavano nottetempo quegli spazi come dormitorio ed orinatoio.
Nel 2007-2008 la Galleria è stata radicalmente restaurata, e resa di nuovo accessibile al pubblico a partire dal giugno 2009. In attesa di una destinazione più consona degli spazi interni alla struttura, attualmente un servizio di guardiania stabile impedisce un suo nuovo degrado, sia di giorno che di notte, allontanando tanto dal suo interno che dai portici antistanti sia i ragazzini che i senzatetto e gli alcolisti.
Nell'aprile 2009, in prossimità della conclusione dei lavori di restauro, l'intervento eseguito sui basamenti in piperno dei portali d'ingresso, verniciati con pitture di colore nero, è stato oggetto di un acceso dibattito che ha coinvolto le principali testate giornalistiche locali, la ditta esecutrice e il comune di Napoli
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