Salvatore Di Giacomo (Napoli, 12 marzo 1860 – Napoli, 4 aprile 1934) è stato un poeta, drammaturgo e saggista italiano. Fu autore di molte notissime poesie in lingua napoletana (molte delle quali poi musicate) che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea. È molto apprezzato come novelliere nero.

Insieme ad Ernesto Murolo, Libero Bovio e E. A. Mario è stato un artefice della cosiddetta epoca d'oro della canzone napoletana.

 

Figlio di un medico e di una musicista, Di Giacomo frequentò per volere della famiglia la facoltà di medicina, ma nel 1886 abbandonò gli studi dopo aver assistito ad una lezione in cui il docente anatomizzava il corpo di un vecchio deceduto,[1] per diventare redattore della pagina letteraria del Corriere del Mattino. In seguito lasciò il Corriere e passò dapprima al Pungolo, e poi al Corriere di Napoli, al Pro Patria e allaGazzetta. Fu tra i fondatori, nel 1892, della nota rivista di topografia ed arte napoletana Napoli nobilissima.

Dal 1893 ricoprì l'incarico di bibliotecario presso varie istituzioni culturali cittadine (Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Maiella, Biblioteca universitaria, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III). Nel 1902 divenne direttore della Sezione autonoma Lucchesi-Palli della Biblioteca nazionale e dal 1925 al 1932 ricoprì la qualifica di bibliotecario capo. Inoltre aderì nel 1925 al manifesto degli intellettuali fascisti e fu nominato accademico d'Italia nel 1929.

Fu molto chiacchierata la sua relazione con la celebre cantante napoletana Emilia Persico,[2] ed a causa della sua ricerca ed originalità linguistica nell'ambito dialettale, subì attacchi da parte della Accademia dei filopadriti.[1]

Era nonno del percussionista Gegè Di Giacomo.

 

L'esordio dell'autore risale al 1882, quando la casa discografica Ricordi lo mise sotto contratto e fece pubblicare Nannì e E ghiammoncenne me'. Alcuni suoi versi del 1885, non particolarmente amati dall'autore (tanto da non essere inseriti nelle raccolte da lui curate personalmente), sono stati musicati dal compositore abruzzese Francesco Paolo Tosti per quella che resta una delle più famose canzoni in dialetto napoletano, Marechiaro, e dal musicista tarantino-napoletano Mario Pasquale Costa di cui ricordiamo la bellissima Era de maggio, in cui due giovani innamorati ricordano il loro primo incontro: a Maggio, in un giardino profumato di rose. C'è poi Luna Nova e la spensierata Oilì oilà che irritò i benpensanti milanesi che non si sapevano spiegare il motivo di tanta ilarità in una città appena colpita da gravi epidemie.[3] Marechiaro si rivelò una cartolina per questo villaggio tra le rocce diPosillipo, nel quale Di Giacomo immaginò una bella ragazza, di nome Carolina, che si affaccia da una finestra ricca di piante di garofano.

Sempre nello stesso anno Di Giacomo e Costa produssero un altro successo, la canzone appassionata Oje Carulì.

Nel 1888 pubblicò la scanzonata Lariulà e scrisse la celeberrima 'E spingule francese, musicata da Enrico De Leva.

Il teatro 

Fu anche autore di opere teatrali, tra cui Assunta Spina, probabilmente il suo dramma più noto, tratto dalla sua novella omonima, ripetutamente rappresentato e poi adattato per il cinema e per la televisione. Altra opera importante fu 'O mese mariano, tratta dalla novella "Senza vederlo", portata poi in televisione per l'interpretazione di Titina De Filippo. Scrisse inoltre i drammi 'O voto, tratto dalla novella "Il voto", A "San Francisco", tratto dalla sua collana di sonetti omonima, e Quand l'amour meurt.

(fonte wikipedia)