Le origini del calcio a Napoli risalgono al 1904 quando, ad opera dell'inglese James Poths, impiegato nella sede locale della Cunard Line, e dell'ingegnere napoletano Emilio Anatra, venne fondato il Naples Foot-Ball & Cricket Club, la prima squadra calcistica cittadina che nel 1906 prese il nome di Naples Foot-Ball Club.[1] La prima partita venne giocata contro i marinai-giocatori della nave Arabik, che pochi giorni prima avevano battuto a Genova la blasonata squadra del Genoa per 3-0. Il Naples si impose per 3-2 con le reti di Mc Pherson, Scarfoglio e Chaudoir.
Fino al 1912 il Naples non partecipò al Campionato nazionale al quale erano iscritte solo squadre del Nord Italia. Nei primi anni vinse comunque alcune competizioni minori fra le quali laCoppa Lipton, conquistata battendo il Palermo per 2-1,[2] la Coppa Salsi, conquistata sconfiggendo altre squadre campane,[1] e la Coppa Noli da Costa.[3]
Nel 1911 la componente napoletana si distaccò da quella inglese dando vita all'Unione Sportiva Internazionale Napoli.[2] L'anno successivo la F.I.G.C. decise di ammettere al campionato di Prima Categoria (allora la massima
serie) le squadre del centro-sud. Le due squadre partenopee si affrontarono in un acceso derby nella semifinale centro-sud. Il Naples ne uscì vincitore grazie a due vittorie per 2-1 e 3-2. Perse
poi la finale centro-sud contro la Lazio.
Nella stagione successiva l'Internazionale si prese la rivincita eliminando il Naples sempre nella semifinale centrosud, per disputare poi la finale centro-sud nella quale si affermò nuovamente
la Lazio.
Nel 1919, dopo la sospensione dovuta alla guerra, il campionato riprese. Rispetto all'ultimo torneo disputato, aumentò notevolemnte il numero delle squadre del Nord Italia. Le squadre campane partecipanti al campionato passarono dalle due sole iscritte nel 1914-1915 (il Naples e l'Internazionale) ad un novero maggiore nel 1919-1920 (Puteolana, Bagnolese, Pro Napoli ecc.). Negli anni dal 1919 al 1922 il Naples e l'Internazionale non brillarono particolarmente raggiungendo al massimo le semifinali interregionali.[3]
Nel 1922 le due compagini attuarono una nuova fusione, resa necessaria da esigenze di carattere finanziario e diedero così vita al Foot-Ball Club Internazionale-Naples, meglio noto come FBC Internaples.[4]
Nella stagione 1925-1926 l'Internaples, condotto dall'allenatore Carcano e da un giovane Giovanni Ferrari, disputò un ottimo campionato: dopo aver vinto il girone campano e il girone A delle semifinali Lega Sud arrivò alla finale della Lega Sud, ma fu travolta dall'Alba Trastevere per 6-1 e 1-1.[5]
Il 1º agosto 1926 l'assemblea dei soci dell'Internaples decise di cambiare il nome della società costituendo l'Associazione Calcio Napoli. Giorgio Ascarelli fu il primo presidente della storia del club.[5]
Prima del 1926 le imprese più importanti del calcio campano erano legate al Savoia di Torre Annunziata che aveva addirittura sfiorato il titolo nazionale fermandosi solo nella finale disputata nel 1924 contro il Genoa.
Giorgio Ascarelli, giovane industriale napoletano e presidente dell'Internaples, si era reso conto che ormai il football stava diventando un fenomeno che avrebbe appassionato le folle come null'altro fino ad allora ed il 1º agosto del 1926 fondò la nuova squadra di Napoli con il nome di Associazione Calcio Napoli. La neonata società ottenne l'affiliazione al Direttorio Divisioni Superiori, l'antesignano dell'odierna Lega Calcio, primo club del Centro-Sud insieme ai sodalizi capitolini Alba Roma e Fortitudo Pro Roma.[5]
Nella nuova squadra si distinse ben presto il giovane, proveniente dalle giovanili dell'Internaples, Attila Sallustro, soprannominato "il Veltro". Sallustro proveniva da un'agiata famiglia e
suo padre - quando seppe che avrebbe giocato a calcio in Italia - gli impose l'obbligo di non guadagnare nulla dall'attività sportiva.
Sallustro mantenne la promessa fin che fu possibile; il Napoli lo gratificò regalandogli una lussuosa vettura, una Fiat 508 Balilla, cosa che all'epoca destò un enorme scalpore.[6]
La prima stagione azzurra nel campionato italiano fu di estrema pochezza: un solo punto raccolto in tutta la stagione, ma Ascarelli riuscì a convincere i dirigenti nazionali a non
rinunciare al patrimonio che il Napoli e Napoli rappresentavano per il calcio italiano e la società partenopea venne ripescata.[7]
Nel frattempo i sostenitori della squadra decisero - viste le modeste prestazioni dei ragazzi in maglia azzurra - di togliere dallo stemma della società l'originario cavallo rampante
sostituendolo con un modesto somaro: da allora "'o ciucciariello" divenne per Napoli e per il mondo del calcio l'emblema della squadra partenopea.[7]
Ascarelli, in vista della stagione successiva, rinforzò la squadra in modo da evitare la retrocessione nella categoria inferiore. Il campo, tuttavia, gli diede nuovamente torto: alla
fine del girone d'andata il Napoli era in zona retrocessione e, nonostante un più discreto girone di ritorno, gli azzurri non riuscirono a salvarsi, chiudendo terzultimi.
Ciononostante, la FIGC volle ripagare i segnali di miglioramento della società partenopea, accordandole un secondo ripescaggio nella massima serie. Nel
campionato 1928-1929Sallustro segnò ventidue reti, portando il Napoli all'ottavo posto della classifica a pari merito con la Lazio. Tuttavia solo le prime otto squadre di ogni girone
(all'epoca il campionato italiano di calcio era basato su due gironi) avrebbero partecipato al primo campionato di Serie A a girone unico. Il Napoli dovette giocare uno spareggio con la Lazio che
finì in parità per due a due.[7]
Lo spareggio si sarebbe dovuto ripetere, ma non venne disputato poiché Ascarelli riuscì a convincere l'allora Presidente della FIGC, Leandro Arpinati, ad allargare il campionato di Serie A a diciotto squadre in modo che anche le none classificate potessero accedervi.[8]
Alla vigilia del primo campionato di Serie A a girone unico il Napoli si rinforzò ingaggiando Vojak (vincitore di uno scudetto con la Juventus nel 1925-1926) e il "mister" William Garbutt, classico allenatore inglese che aveva vinto due scudetti con il Genoa nel 1922-1923 e nel 1923-1924.[9]
Fu edificato - finalmente - uno stadio vero, il "Vesuvio", in grado di accogliere le migliaia di sostenitori della squadra. Ascarelli morì in giovane età senza poter raggiungere i traguardi ambiziosi che si era prefissato. Lo stadio gli fu intitolato a furore di popolo ma le leggi razziali gli tolsero anche quella "soddisfazione postuma".[10]
Grazie ai già citati acquisti, la squadra per la prima volta non rischiò la retrocessione chiudendo il torneo al quinto posto.
Nella stagione successiva il Napoli giocò un ottimo girone d'andata, che concluse al secondo posto dietro la Juve, poi nel girone di ritorno, complice la chiamata alle armi di Sallustro, venne meno e concluse il campionato al sesto posto.
Il campionato 1932-1933, invece, fu il primo in cui gli azzurri sfiorarono lo scudetto. Formidabile fu la coppia d'attacco: Sallustro segnò diciannove reti e Vojak ventidue; Il Napoli arrivò terzo a pari merito col Bologna ma non riuscì a qualificarsi alla Coppa Europa per un peggior quoziente reti rispetto ai felsinei.[12] Nella stagione successiva gli azzurri disputarono un altro ottimo campionato arrivando ancora terzi e qualificandosi per la prima volta alla Coppa Europa, la massima competizione europea di quei tempi. Al primo turno il Napoli incontrò l'Admira Wien: a Vienna finì 0-0, a Napoli 2-2, con reti di Sallustro e Vojak. Alla "bella" vinsero gli austriaci 5-0. In campionato la squadra deluse e arrivò soltanto settima.[10]
Nel 1936 la società fu rilevata da Achille Lauro che, per risanare il bilancio, fu costretto a cedere i calciatori più importanti. Sallustro da un paio di campionati
segnava sempre meno reti, e molti trovarono la causa della sua improvvisa scarsa vena realizzativa nella sua frequentazione con Lucy D'Albert, famosa soubrette dell'epoca, che poi diventò
sua moglie.[6] Al termine del campionato 1936-1937 il Napoli cedette Sallustro
alla Salernitana.
In vista della stagione 1938-1939 Lauro acquistò l'attaccante Italo Romagnoli, il mediano Piccinni e la mezzala Gramaglia; gli azzurri disputarono un buon
campionato, concluso al quinto posto in classifica. Nella stagione successiva la squadra partenopea allenata da Adolfo Baloncieri disputò un torneo deludente e la
retrocessione in B fu evitata solo grazie a un miglior quoziente reti rispetto al Liguria.[13] Lauro al termine della stagione si dimise e Gaetano Del Pezzo diventò presidente della Società.
Nella stagione 1940-1941 il Napoli si classificò settimo a pari merito col Torino. La stagione successiva il Napoli chiuse al 15º posto e retrocedette in Serie B per la prima volta nella sua storia. Nella stagione 1942-1943 il Napoli arrivò terzo in serie B, ma non bastò per tornare in Serie A. Nel frattempo lo Stadio Arturo Collana del Vomero divenne la nuova "casa" dei partenopei.
A causa delle difficoltà incontrate durante lo svolgersi degli eventi bellici la società fu costretta a cessare le attività nel 1943. L'anno successivo allo scioglimento, nel 1944, nacquero due distinte società: la Società Sportiva Napoli, promossa dal giornalista Arturo Collana, e la Società Polisportiva Napoli, fondata dal dott. Gigino Scuotto, dalla cui fusione nel gennaio 1945si costituì l'Associazione Polisportiva Napoli, con presidente Pasquale Russo. La società riprese finalmente la denominazione di A.C. Napoli nel 1947.
Nel 1945, a seguito delle notevoli difficoltà logistiche conseguenti la guerra appena terminata, il campionato di massima serie venne suddiviso in due gironi: al primo parteciparono le squadre di Serie A del Nord e nel secondo le squadre di Serie A e B del Centro-Sud. Il Napoli, nonostante fosse una squadra di Serie B, riuscì a vincere il proprio girone a pari merito colBari, qualificandosi per il girone finale a otto squadre e ottenendo la promozione in Serie A. Nel Girone Nazionale arrivò quinto alle spalle di Torino, Juventus, Milan e Inter.[14]
In quel Napoli militava l'attaccante albanese Riza Lushta, che ebbe un periodo di appannamento durante il quale si diffuse in città il detto: "Quanno segna Lushta se ne care 'o stadio" (Quando segnerà Lushta cadrà lo stadio). Si narra che quando Lushta interruppe il suo digiuno una parte di tribuna ebbe un cedimento, per fortuna senza gravi conseguenze.[14]
Nella stagione successiva il campionato di Serie A tornò a girone unico. Il Napoli chiuse all'ottavo posto ma tornò nuovamente in serie cadetta l'anno dopo, punito per illecito sportivo.[15]Ci vollero due anni riconquistare la categoria: dopo un nono posto nel 1948-1949, agli azzurri vinsero il torneo 1949-1950 con Eraldo Monzeglio in panchina, tornando così in massima serie.
Tornato in serie A, in vista della stagione 1950-1951 il Napoli si rinforzò prelevando dalla Roma Amedeo Amadei, che militò in maglia azzurra per sei stagioni, segnando in totale quarantasette reti. Nelle due successive stagioni il Napoli arrivò consecutivamente sesto in classifica. Il presidente Lauro, per la stagione 1952-1953, acquistò dall'Atalanta il centroavanti svedese Hasse Jeppson.
Jeppson si era messo in mostra ai mondiali del 1950, svolti in Brasile. Sembrava dovesse andare all'Inter, ma per l'allora stratosferica cifra di centocinque milioni di lire fu ingaggiato dal Napoli, nel quale disputò quattro campionati. L'enorme cifra pagata per il suo acquisto portò i tifosi partenopei a coniare per lui il soprannome di "'o Banco 'e Napule".[16]
Un altro campione di quei tempi fu il "petisso" Pesaola, che anche in tempi successivi come allenatore lasciò una traccia indelebile nella storia della società.
Jeppson divenne velocemente il goleador principe della squadra partenopea. In tre anni il Napoli ottenne un quarto (1952-1953), un quinto (1953-1954) e un sesto posto (1954-1955).
Nel 1955 arrivò dal Brasile, via Lazio, Luís Vinício (subito ribattezzato dai tifosi 'o Lione per la grinta che lo caratterizzava) che in coppia con Jeppson diede vita alla coppia "H-V" che fu schierata per la prima volta in campo nella partita contro la Pro Patria, vinta per 8-1 dagli azzurri con tripletta di Vinício e doppietta di Jeppson.[17] I due, nonostante la fama, non diedero al Napoli i frutti sperati, anche perché poche furono le occasioni nelle quali vennero schierati insieme in formazione.[17] Il Napoli in quella stagione deluse arrivando solo quattordicesimo in classifica.
La stagione 1956-1957 vide la fine definitiva del tandem Jeppson-Vinício, con la cessione del primo al Torino. In campionato i miglioramenti rispetto alla stagione precedente fruttarono solo un undicesimo posto. Tra le poche "imprese" del Napoli di quegli anni ci furono le due vittorie contro la Juventus nella stagione 1957-1958: all'andata a Torino finì 3-1 per il Napoli grazie alle parate fenomenali di Bugatti, sceso in campo con trentotto gradi di febbre.[18]Charles dopo la partita disse "Ci fosse stato un altro portiere al posto di Bugatti, fra i pali della porta del Napoli, avremmo vinto 7-3".[18] Al ritorno, comunque, il Napoli vinse 4-3. In quella stagione gli azzurri arrivarono quarti in campionato dietro a Juventus, Fiorentina e Padova.
Per la stagione 1958-1959 fu ingaggiato per far coppia con Vinício il brasiliano Emanuele Del Vecchio.[19] Neanche questa coppia, come quella Jeppson-Vinício, funzionò. Del Vecchio marcò tredici gol, Vinício sette: il Napoli arrivò al nono posto.
Nella stagione successiva il Napoli lasciò l'ormai angusto stadio del Vomero e il 6 dicembre 1959 inaugurò il nuovo stadio San Paolo di Fuorigrotta nella partita che oppose gli azzurri allaJuventus, terminata con la vittoria del Napoli per 2-1.[20]
Questo fu però l’unico avvenimento di notevole importanza in quell’anno, poiché il resto della stagione della compagine partenopea fu poco più che anonimo e il risultato finale fu solo un quattordicesimo posto. A giugno lasciarono la squadra Vinício e Pesaola.
Nel 1960 quando Vinício sembrava a fine carriera ed ormai in decadenza, il Napoli cedette il brasiliano al Bologna;[21] a smentire quella "decadenza" ci pensò Vinício stesso, vincendo laclassifica dei marcatori, ben 6 anni dopo, con la maglia
del Vicenza.
Nella stagione 1960-1961 dopo un buon avvio - (8 punti in 5 partite)[21] - il Napoli crollò e retrocedette nuovamente in serie B.
Per ritornare in A, Lauro pretese di costruire una formazione in grado di competere con le migliori: "un grande Napoli per una grande Napoli" fu il suo slogan, ma il campo gli diede inizialmente torto; la squadra non sembrava essere in grado di raggiungere la meta della promozione, e alla fine del girone di andata annaspava negli ultimi posti, rischiando la C. Lauro, per risollevare la squadra, provò allora a cambiare allenatore e scelse come nuovo coach Bruno Pesaola, allora allenatore della Scafatese in terza serie; quest'ultimo era già stato un calciatore del Napoli ai tempi di Jeppson e Vinicio e da "Mister" rimase famoso anche per il suo immancabile cappotto di cammello e per la sagacia tattica. Con lui in panchina il Napoli risalì la china fino a raggiungere la promozione.
La stagione si chiuse trionfalmente con la conquista della Coppa Italia, ottenuta battendo in finale la SPAL. Il Napoli passò subito in vantaggio con Gianni Corelli al 12º; la SPAL pareggiò al 15º con Micheli ma Pierluigi Ronzon al 79º siglò il definitivo vantaggio partenopeo, regalando così agli azzurri il primo trofeo della loro storia. Il Napoli resta tuttora l’unica squadra nella storia del calcio italiano ad aver vinto la Coppa Italia militando in serie B.[22]
Nel 1962-1963 il Napoli della Coppa Italia venne confermato quasi in blocco, con il solo innesto di Faustino Jarbas Canè, prelevato dall'Olaria di Rio de Janeiro. In campionato la squadra non ingranò ma in Coppa delle Coppe eliminò sia i gallesi del Bangor City che l'Újpesti TE (Ungheria) qualificandosi così ai quarti di finale. Intanto, dopo la gara di San Siro contro il Milan, ben quattro azzurri (Pontel, Molino, Rivellino e Tomeazzi) furono squalificati per un mese causa doping.[23] In Coppa alla bella contro l'OFK Belgrado debuttò Antonio Juliano, giovanissimo centrocampista che per i successivi diciotto anni fu l’indiscussa bandiera del Napoli, ma nulla evitò il 3-1 e l'eliminazione. In campionato le cose non andarono meglio: al termine della partita persa 0-2 in casa contro il Modena il Napoli venne di nuovo retrocesso.[24]
Nella stagione successiva il Napoli, sotto la guida di Roberto Lerici, non ottenne grandi successi. A nulla servì la sostituzione del tecnico con il suo secondo Molino: alla fine fu solo ottavo posto.[25] Il 25 giugno 1964 la società assunse la denominazione Società Sportiva Calcio Napoli, che conserva tuttora.[26]
Per il campionato 1964-1965 tornò in panchina Pesaola, il tecnico della Coppa Italia. La stagione fu quantomeno strana: in casa il Napoli non rendeva, mentre in trasferta dilagava, Canè si trasformò in goleador e gli azzurri tornarono in A.
Per lo spregiudicato armatore Achille Lauro il Napoli era un fiore all’occhiello da mostrare con orgoglio, specie in periodo elettorale; per costruire una buona squadra in vista del campionato di A 1965-1966 prelevò Omar Sivori della Juventus e José Altafini dal Milan;[27] al loro fianco cominciò a mettersi in evidenza Juliano, che aveva debuttato quando la squadra era ancora in Serie B.
I risultati furono lusinghieri: in campionato il Napoli arrivò terzo, con Altafini capocannoniere della squadra con quattordici gol, mentre in estate la squadra si aggiudicò la Coppa delle Alpi.
Nel 1966-1967 il Napoli ripeté gli ottimi risultati dell'anno passato, arrivando quarto con Altafini di nuovo mattatore, questa volta con sedici reti. Nello stesso anno la squadra partenopea partecipò alla sua prima Coppa delle Fiere: venne eliminato agli ottavi di finale dal Burnley FC.
Alla vigilia del campionato 1967-1968 arrivò dal Mantova il portiere Dino Zoff, subito soprannominato l'angelo azzurro. Nonostante la società attraversasse un periodo di crisi economica[28], in campionato i partenopei arrivarono vicini allo scudetto, piazzandosi al secondo posto con nove punti di distacco dal Milan campione.
Il periodo di potere della famiglia Lauro era ormai al termine: nel 1969, con grande abilità e poca spesa Corrado Ferlaino assunse la presidenza della società ridotta però sull’orlo del dissesto finanziario.[29] Nei suoi primi anni di dirigenza, pur dimostrando carattere e testardaggine fuori dal comune, Ferlaino non poté garantire al Napoli la possibilità di lottare per grandi traguardi badando nei primi anni di presidenza in fase di calciomercato alla cessione di pezzi pregiati come Zoff, Altafini e Claudio Sala (ceduto senza aver potuto dimostrare pienamente il proprio valore, ad appena un anno dal suo acquisto), e all'acquisto di giocatori di prima scelta ma sul viale del tramonto come Nielsen, Hamrin, Sormani eClerici.
Il pubblico comunque ripagava la società garantendole grandi incassi e questo fattore fu determinante per invertire la rotta.
Nel 1970-1971 arrivò a Napoli il brasiliano Angelo Benedicto Sormani soprannominato il Pelé bianco. Sulla panchina della compagine partenopea rimaseBeppe Chiappella, arrivato due anni prima.[30] Sormani formò con Altafini un attacco solidissimo ed il Napoli giunse a giocarsi lo scudetto con Inter e Milan, ma a fine campionato il bottino fu solo un terzo posto.[31]
La stagione successiva vide una piccola crisi del Napoli, dovuta ad alcuni problemi societari. La compagine partenopea arrivò soltanto all'ottavo posto. Ferlaino decise quindi di svecchiare la squadra (pensando comunque anche al bilancio), con la cessione di giocatori del calibro di Dino Zoff ed José Altafinialla Juventus.[31]
L'acquisto che rivoluzionò positivamente l'ambiente azzurro, fu però legato al leone Luís Vinício, che ritornò a Napoli in veste di allenatore.
All'arrivo del nuovo tecnico la società cominciò ad investire acquistando giocatori di ottimo livello (come gli attaccanti Sergio Clerici e Giorgio Braglia), mantenendo campioni come Juliano e valorizzando poi alcuni giovani talenti (Bruscolotti, Vavassori, La Palma, Salvatore Esposito ed altri). Vinício, primo in Italia, volle sperimentare una squadra in grado di giocare il cosiddetto calcio totale proposto dagli olandesi ai Mondiali del 1974. La squadra fu rivoluzionata ed i risultati non si fecero attendere: la stagione si chiuse al terzo posto alle spalle della Lazio di Chinaglia e della Juventus.[32]
Nel 1974-1975 il Napoli, sempre guidato da Vinício, arrivò ad un passo dallo scudetto. Alla fine del campionato appena due punti lo separarono dalla Juventus, arrivata prima. Decisiva risultò la sfida di Torino, che la Juve vinse per 2-1 grazie ad un gol in zona Cesarini dell’ex Altafini, da allora soprannominato dai napoletani Core ‘ngrato.
La squadra, reduce dall'amaro secondo posto, non fece meglio nella stagione successiva, arrivando solo al quinto posto. Però riuscì a conquistare la sua seconda Coppa Italia battendo in finale per 4 a 0 l’Hellas Verona all'Olimpico di Roma; poi, battendo il Southampton, il Napoli si aggiudicò anche la Coppa di Lega Italo-Inglese.
Nella stagione successiva l'obiettivo del raggiungimento della finale di Coppa delle Coppe (allenatore Pesaola) fallì dopo una sconfitta per 2-0 nella semifinale di ritorno contro
l'Anderlecht, con la direzione di gara dell'arbitro Matthewson pesantemente contestata dagli azzurri.[35] La gara d’andata era finita 1-0 per il Napoli grazie a una rete di Bruscolotti.
In campionato gli azzurri raggiunsero un modesto settimo posto e subirono anche la penalizzazione di un punto in classifica per cumulo di squalifiche del campo.[36]
Dopo un doppio sesto posto nelle stagioni 1977-1978 e 1978-79, Savoldi lasciò il Napoli che precipitò all'undicesimo posto nel 1979-1980; la sostituzione del ritrovato Vinício con Sormaninon riuscì a fermare la crisi.
L’inizio degli anni ottanta fu segnato dalla riapertura delle frontiere ai giocatori stranieri.
Il Napoli, tradizionalmente, aveva avuto nelle sue file ottimi giocatori non italiani (Sallustro, Jeppson, Sivori, Altafini, Hamrin, Cané, Clerici); per mantenere viva la tradizione fu ingaggiato dal Vancouver il libero Ruud Krol, già campione d’Europa con l’Ajax e pilastro difensivo della grande Olandadei primi anni settanta.[37]
Nella stagione 1980-1981, in un'annata resa drammatica dal sisma che il 23 novembre 1980 scosse la città,[37] la squadra, guidata da Rino Marchesi, sfiorò il titolo conquistando il terzo posto finale.[38] Dopo la vittoria sul Torino al Comunale, a cinque giornate dal termine, il Napoli si portò in testa alla classifica
insieme alla Juventus e con la prospettiva di usufruire di un calendario favorevole. Inaspettatamente, però, nel turno successivo il Perugia - ultimo in classifica - passò
al San Paolo per 1-0 con autogol di Ferrario nei primi minuti.[38] Per tutto il
resto della gara gli azzurri si gettarono generosamente all'attacco, ma pali, traverse e la notevole prestazione del portiere umbro Maliziasbarrarono al Napoli ogni possibilità di giungere
quantomeno al pareggio.
Nonostante tutto, la squadra affrontò l'incontro decisivo con la Juventus con due punti di svantaggio e con la teorica possibilità di sfruttare il turno casalingo per riagguantare la
vetta a una giornata dal termine. Ancora una volta un'autorete (Guidetti) condannò gli azzurri alla sconfitta e al definitivo addio alle velleità tricolori.
A parte il già citato terzo posto nella stagione 1980-1981 e il quarto posto nella stagione successiva, lo Scudetto restò lontano da Napoli nonostante Krol
eClaudio Pellegrini, capocannoniere del Napoli in entrambe le stagioni con il medesimo numero di gol (11).
Nonostante l’arrivo di altri stranieri di valore quali Ramón Díaz prima e José Dirceu poi, nei due campionati successivi la retrocessione in serie B fu evitata in extremis.[38]
Nella stagione successiva arrivò dalla Fiorentina Daniel Bertoni, argentino e campione del mondo che prese uno dei due posti riservati agli stranieri e lasciati liberi da Krol e Dirceu, ceduti rispettivamente a Cannes ed Ascoli. Intanto stava maturando il vero colpo di mercato che venne in seguito definito l'affare del secolo.
Il presidente Ferlaino, deciso a portare la società verso grandi traguardi, il 30 giugno 1984 definì l'acquisto del campione argentino Diego Armando Maradona dal Barcellona per la cifra record di 15 miliardi di lire.[39] Il fuoriclasse di Lanús, tuttora considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, venne presentato il 5 luglio successivo in uno stadio San Paolo gremito in ogni ordine di posti. La prima stagione del Napoli di Maradona, tuttavia, fu interlocutoria: mal supportato da una squadra di modesto livello, Maradona dimostrò le sue doti di campione ma il suo contributo non poté essere utile per raggiungere traguardi importanti. Dopo un girone di andata mediocre, il Napoli riuscì a raggiungere una tranquilla posizione di centro classifica solo nelle ultime giornate di campionato.
La squadra venne gradualmente ricostruita: furono ingaggiati Bruno Giordano, Salvatore Bagni, Claudio Garella e Alessandro Renica.[40] In panchinaRino Marchesi lasciò il testimone ad Ottavio Bianchi, che da giocatore militò per cinque stagioni in maglia azzurra.[41] I cambiamenti coinvolsero anche la dirigenza, con l'addio di Antonio Juliano e l'ingresso in società di Italo Allodi, già dirigente di Inter, Juventus e Fiorentina.[42] Dal vivaio emergevano giovani talenti, uno su tutti Ciro Ferrara, che debuttò in prima squadra proprio nel 1985-1986.[40] La stagione finì col Napoli al terzo posto, alle spalle di Juventus e Roma.
La stagione del primo scudetto fu quella del 1986-1987. Vennero ingaggiati il terzinoGiuseppe Volpecina, il regista Francesco Romano e l'attaccante Andrea Carnevale, mentre Maradona era appena tornato dal trionfale mondiale messicano. Così come aveva fatto per l'Argentina, Maradona condusse il Napoli alla vittoria del campionato.[43]
Il campionato prese il via il 14 settembre, con il Napoli che si impose a Brescia (0-1) con rete di Maradona. Inizialmente i partenopei si limitarono ad inseguire la Juventus, che tentò la fuga. Il 9 novembre, nello scontro diretto giocato a Torino con le due squadre appaiate in testa, gli azzurri s'imposero per 3-1 con reti di Ferrario, Giordano e Volpecina.[44] Il Napoli balzò così in testa alla classifica e mantenne il primo posto fino alla fine del girone d'andata, resistendo anche al blitz dell'Inter, che agganciò i partenopei alla quattordicesima (con il Napoli che subì la prima sconfitta stagionale per mano della Fiorentina), per poi sciupare tutto perdendo a Verona l'11 gennaio.
Il Napoli iniziò con passo spedito il girone di ritorno, vincendo quattro gare di fila e staccando il folto gruppo delle inseguitrici, che comprendeva ora anche Roma e Milan. All'inizio di aprile i partenopei ebbero un leggero calo - pareggio ad Empoli e sconfitta aVerona - che permise all'Inter di avvicinarsi: i punti di distanza tra napoletani e milanesi rimasero due fino alle ultime giornate. Il 3 maggio, alla terzultima di campionato, i nerazzurri meneghini caddero ad Ascoli mentre gli azzurri impattavano 1-1 a Como. A questo punto era sufficiente un pareggio per conquistare lo scudetto: il 10 maggio 1987, alla penultima giornata, il Napoli conquistò matematicamente il suo primo titolo nazionale grazie all'1-1 al San Paolo contro la Fiorentina (reti di Carnevale eRoberto Baggio),[45] che permise agli azzurri di mantenere il vantaggio di quattro punti su Inter e Juventus a una giornata dal termine, un distacco che non poteva più essere colmato. I tifosi festeggiarono lo storico trionfo riversandosi nelle strade della città.[45] Uno striscione esposto in Curva B recitava: La storia ha voluto una data, 10 maggio 1987.[46]
La squadra vinse anche la sua terza Coppa Italia 1986-1987, conquistata vincendo tutte le gare, comprese le due finali disputate contro l'Atalanta. L'accoppiata scudetto/coppa era un'impresa che fino a quel momento era riuscita solo al Grande Torino ed alla Juventus.[47]
La rosa Campione d’Italia comprendeva: Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano; Volpecina, Caffarelli, Sola, Muro, Bigliardi, Di Fusco, Puzone, Sola, Miano, Filardi, Celestini, Carannante; Allenatore: Ottavio Bianchi.
Il campionato 1987-1988 iniziò sotto i migliori auspici, anche grazie all'innesto del centravanti brasiliano Careca acquistato dal San Paolo: cinque vittorie nelle prime cinque gare diedero subito l'impressione che il Napoli volesse rifarsi dal deludente esordio in Coppa dei Campioni con l'eliminazione al primo turno contro il Real Madrid, 2-0 per le merengues in Spagna e 1-1 nel ritorno al San Paolo, vincendo un altro scudetto. Nel corso della stagione il primato azzurro sembrava non entrare mai in discussione, e la conquista del titolo apparve addirittura più agevole rispetto alla stagione precedente. Al termine del girone d'andata, i partenopei erano primi in classifica con unoscore di undici vittorie, tre pareggi ed una sconfitta; il Napoli accelerò ancora: altre sette vittorie consecutive. Poi, nel finale, ci fu il crollo: nelle ultime cinque giornate, il Napoli conquistò un solo punto, perdendo quattro gare di fila, tra le quali lo scontro diretto con il Milan (2-3 al San Paolo) che segnò il sorpasso rossonero sugli azzurri e la conquista da parte del Diavolo del primo scudetto dell'era-Berlusconi.[48]
Il finale di campionato degli azzurri provocò roventi polemiche all'interno della società[49] , con lo spogliatoio del Napoli che si spaccò[50] e si passò così dalle critiche alle "epurazioni":[49][51] Claudio Garella, ceduto all'Udinese, Moreno Ferrario, ceduto alla Roma, Salvatore Bagni, ceduto all'Avellino, e Bruno Giordano, ceduto all'Ascoli, vennero messi alla porta; restarono gli unici a pagare per lo scudetto perso a vantaggio dei rossoneri di Arrigo Sacchi[52].
Il MA.GI.CA. era il tridente di attacco del Napoli alla fine della stagione 1987-1988. Il tridente era composto da Diego Armando Maradona, Antonio Careca, e Bruno Giordano. Tale soprannome nacque dopo la partita Ascoli-Napoli del 31 gennaio 1988, finita 3-1 per i partenopei; in quella gara andarono a segno, nell'ordine, Maradona (su rigore), Giordano e Careca.[53]
In quella stagione, il tridente collezionò complessivamente 97 presenze (Maradona 37, Careca 33, Giordano 27) e segnò 47 reti (Maradona 21, Careca 18, Giordano 8).
Finita in modo burrascoso la stagione 1987-1988, per quella successiva la squadra cambiò radicalmente: per sostituire i giocatori allontanati, il Napoli ricorse a diversi acquisti, tra cui quello di Giuliano Giuliani, di Luca Fusi e del forte centrocampista brasiliano Alemãodell'Atletico Madrid, già compagno di Careca nella Seleção. Entrarono a far parte della dirigenza azzurra Luciano Moggi e Giorgio Perinetti.
Il campionato 1988-1989 regalò belle soddisfazioni al Napoli, come il 5-3 esterno alla Juventus (che rimase l'ultima vittoria azzurra in casa juventina fino al 31 ottobre 2009[54]), il 4-1 al Milan ed il clamoroso 8-2 al Pescara. Lo scudetto di quell'anno, tuttavia, andò all'Inter "dei record" di Giovanni Trapattoni, una delle migliori formazioni della storia neroazzurra.[55] Fin dalle prime giornate, il campionato fu monopolizzato dai nerazzurri e le altre squadre di vertice sembrarono puntare più decisamente alle competizioni europee.
In Coppa UEFA, gli azzurri partirono subito col piede giusto, eliminando i greci del Paok Salonicco (1-0 ed 1-1), i tedeschi orientali del Lokomotive Lipsia (2-0 ed 1-1) ed i francesi delBordeaux (0-0 e 0-1). Le sfide più interessanti cominciarono però dai quarti di finale, con il Napoli che si trovò di fronte alla Juventus: dopo lo 0-2 subito nella gara d'andata a Torino, un secco 3-0 al ritorno ribaltò il risultato a favore del Napoli, che passò grazie ad un gol segnato da Renica allo scadere dei tempi supplementari. La semifinale oppose al Napoli i tedeschidel Bayern Monaco. Al San Paolo, che fece registrare il tutto esaurito, il Napoli vinse per 2-0, con gol di Careca e Carnevale ed ipotecò la finale. Al ritorno, una doppietta di Careca (2-2 il finale) spianò la strada per la finalissima contro un'altra tedesca, lo Stoccarda di Jürgen Klinsmann.
« Stoccarda, 17 maggio 1989, secondo anniversario dello scudetto, mercoledì. La città della Mercedes e della Porsche è invasa da ogni tipo di carretta targata Napoli. Treni, aerei, auto, pullman riversano in quell'oasi di opulenza industriale e di emigrazione italiana, il più fantastico ma più diseredato popolo del mondo del calcio. In 30.000 al Neckerstadion nella magica notte della Coppa UEFA » | |
(Salvatore Biazzo, La magia di Stoccarda, Ed. RAI 1996)
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Napoli, Stadio San Paolo, 3 maggio 1989 Napoli - Stoccarda 2-1 Marcatori: 17’ p.t. Gaudino (S), 23’ s.t. Maradona (N) (rigore), 42’ s.t. Careca (N) NAPOLI: Giuliani; Renica, Ferrara, Francini, Corradini (Crippa 46'); Alemao, Fusi, De Napoli; Careca, Maradona, Carnevale. Allenatore: Bianchi. STOCCARDA: Immel; Allgower, N.Schmaler, Hartmann; Schafer, Katanec, Sigurvinnson, Schroder; Walter (Zietsch 70'), Klinsmann, Gaudino. Allenatore: Haan Arbitro: Germanakos (Grecia) Stoccarda, Neckarstadion, 17 maggio 1989 Stoccarda - Napoli 3-3 Marcatori: 18’ Alemao (N), 27' Klinsmann (S), 39’ Ferrara (N), 62' Careca (N), 70° De Napoli aut. (S), 89' O. Schmaler STOCCARDA: Immel; Allgower, N.Schmaler, Hartmann; Schafer, Katanec, Sigurvinnson, Schroder; Walter (O. Schmaler 77), Klinsmann, Gaudino. Allenatore: Haan NAPOLI: Giuliani; Renica, Ferrara, Francini, Corradini; Alemao (Carannante 30'), Fusi, De Napoli; Careca (Bigliardi 70'), Maradona, Carnevale. Allenatore: Bianchi. |
Nella gara d'andata, i tedeschi gelarono il San Paolo con la rete di Maurizio Gaudino (per ironia della sorte, figlio di napoletani emigrati in Germania), ma le reti di Maradona prima e di Careca (allo scadere) poi, fissarono il punteggio sul 2-1. Il ritorno a Stoccarda, con oltre 30.000 tifosi azzurri al seguito, fu un trionfo: segnò Alemão, pareggiò Klinsmann, poi Ciro Ferrara e Careca chiusero la partita. Ininfluenti i due gol tedeschi che fissarono il risultato finale sul 3-3, con il Napoli che vinse così la Coppa UEFA 1989, suo primo trofeo internazionale.[56][57]
La stagione 1989-1990 si aprì subito con una notizia clamorosa: Ottavio Bianchi lasciò la panchina azzurra, sostituito da Albertino Bigon.[58] Maradona prolungò la sua permanenza in Argentina e non rientrò in tempo utile per giocare le prime partite di campionato, a causa di problemi con la società cui si diceva avesse chiesto la cessione: voci subito smentite ma mai in modo del tutto convincente.[59][60] Tornò in campo solo il 17 settembre1989, alla quinta di campionato contro la Fiorentina al San Paolo.[61] La squadra intanto acquistava nuovi giocatori, come Massimo Mauro dalla Juventus e il giovane fantasista sardo Gianfranco Zola.
In campionato i partenopei partirono subito col piede giusto: sedici risultati utili consecutivi nelle prime 16 gare, tuttora serie record nella storia del club. La sconfitta arrivò solo all'ultima d'andata, un pesante 0-3 in casa della Lazio. ma non destò preoccupazioni. Un piccolo calo di rendimento avvicinò l'Inter ed ilMilan, ma la squadra riuscì a gestire il vantaggio di due punti fino allo scontro diretto: a San Siro i rossoneri vinsero 3-0 e raggiunsero il Napoli in testa alla classifica.[62] Due settimane dopo, gli azzurri persero di nuovo a San Siro, stavolta contro l'Inter (3-1), e si ritrovarono due punti indietro. Molti cominciarono a temere il ritorno degli "spettri" del 1988, ma il Napoli non demorse e recuperò prima un punto (Milan sconfitto a Torino dalla Juventus ed azzurri che pareggiarono a Lecce), poi però venne battuto dalla Sampdoria (2-1 al 90º) mentre il Milan cadeva nel derby contro l'Inter. Quando i giochi a poche giornate dalla fine sembravano ormai fatti, avvenne il celebre caso della monetina di Bergamo: sul punteggio di 0-0 tra Atalanta e Napoli, una monetina lanciata dai tifosi nerazzurri colpì alla testa il centrocampista partenopeo Alemão, costringendolo ad abbandonare il campo. Il giudice sportivo assegnò il 2-0 a tavolino al Napoli, mentre il Milan venne bloccato sullo 0-0 dal Bologna e venne così raggiunto dagli azzurri a tre giornate dalla fine. Alla penultima giornata, il definitivo sorpasso: rossoneri sconfitti a Verona per 2-1 e Napoli vittorioso 4-2 sul campo del Bologna. Nell'ultima giornata, al San Paolo contro la Lazio, bastava un pareggio per laurearsi campioni: un gol di Marco Baroni dopo appena sette minuti chiuse in fretta la partita e regalò al Napoli il secondo scudetto.
La stagione 1990-1991 cominciò con la vittoria nella Supercoppa italiana, ottenuta battendo la Juventus di Maifredi per 5-1.[62] Il campionato, invece, cominciò male con un solo punto ottenuto nelle prime tre partite.[62] L'inizio in Coppa dei Campioni sembrò favorevole al Napoli, che ottenne una convincente doppia vittoria sugli ungheresi dello Újpesti Dózsa[62], squadra che aveva già incontrato nella Coppa delle Coppe del 1963, quando si chiamava Újpesti TE. Al secondo turno però gli azzurri vennero eliminati dallo Spartak Mosca ai rigori, dopo un doppio 0-0.[63] La crisi continuò per tutto l'anno, e il Napoli chiuse la stagione con un modesto settimo posto.
Si chiuse così il primo importante ciclo del Napoli, in coincidenza con il declino di Maradona a seguito delle vicende personali che lo costrinsero a lasciare Napoli e l'Italia in modo amaro.[64] Dal 1991, dopo che il fuoriclasse argentino lasciò Napoli, la squadra si avviò verso un lento ma costante declino.
Inizialmente, con il nuovo tecnico Claudio Ranieri e grazie all'apporto di giocatori del calibro di Zola, Ferrara, Careca e il nuovo arrivato Laurent Blanc, ottenne un discreto quarto posto nella stagione 1991-1992.[65]
Ranieri venne confermato. La campagna acquisti portò in azzurro giocatori come Daniel Fonseca e Roberto Policano. In Coppa UEFA il Napoli superò il primo turno, con un 5-1 esterno contro il Valencia con Fonseca autore di tutti e cinque gol dei partenopei.[65] Il Paris Saint Germain eliminò però gli azzurri nel turno successivo, grazie ad una doppietta di George Weahnell'andata a Fuorigrotta.[65] In campionato la squadra andò in crisi e dopo un 1-5 contro il Milan Ranieri venne esonerato.[65] Al suo posto ritornò Ottavio Bianchi, che non poté far altro che condurre la squadra ad una tranquilla salvezza.[65]
La squadra venne quindi svecchiata[66] e subì molti cambiamenti: Bianchi diventò General Manager e scelse come tecnico Marcello Lippi. Pilastri della squadra come Careca eGianfranco Zola lasciarono la squadra mentre molti giovani promettenti, come Fabio Cannavaro e Fabio Pecchia, divennero protagonisti.[66] Dopo un primo periodo di crisi, Lippi decide di puntare tutto sulle forze fresche e la stagione 1993-1994 finì con un buon sesto posto e la soddisfazione di aver sconfitto il Milan, prossimo a laurearsi campione d'Italia e d'Europa, grazie ad una rete di Paolo Di Canio che realizzò anche il gol all'ultima giornata che valse la qualificazione alla Coppa UEFA.
Lippi a fine stagione lasciò il Napoli con destinazione Juventus, e con lui anche Ciro Ferrara, bandiera e capitano del Napoli.[67] Al posto dell'allenatore viareggino arriva Vincenzo Guerinie il Napoli in campo si affidò ad André Cruz, Alain Boghossian e all'ex numero dieci del Torino Benny Carbone, arrivato via Roma con Grossi e ben 18 miliardi, nell'affare che portò in terra capitolina Daniel Fonseca. Ma la stagione cominciò male: Guerini venne licenziato dopo un 5-1 subito contro la Lazio ed al suo posto arrivò Vujadin Boškov.[67] L'eccentrico allenatore slavo portò i partenopei al settimo posto, sfiorando la qualificazione alla Coppa UEFA.[68]
A partire dal 1995 con la cessione di giocatori come Benito Carbone (all'Inter) e di Fabio Cannavaro (al Parma), iniziò il declino.[68] La retrocessione venne sfiorata e il Napoli si salvò solo alla terz'ultima giornata, vincendo contro la Sampdoria 1-0, grazie ad un rigore nei minuti finali di Arturo Di Napoli.[68] Boškov lascia la squadra a fine anno.[68]
Nella stagione 1996-1997, la formazione azzurra allenata da Gigi Simoni fu la rivelazione della prima parte del campionato: alla sosta natalizia era al secondo posto a pari merito
con ilVicenza e dietro alla Juventus;[69] nel girone di ritorno, tuttavia, la
squadra crollò (3 vittorie in 17 gare) e, dopo l'esonero di Simoni sostituito da Vincenzo Montefusco, allenatore della Primavera, arrivò solo dodicesima.[69] Notevole fu il cammino in Coppa Italia.
Eliminati il Monza, il Pescara (entrambe per 0-1), la Lazio (1-0 ed 1-1) nei quarti e l'Inter (doppio 1-1 e vittoria ai rigori) in semifinale, il Napoli arrivò in
finale contro il Vicenza. Nell'andata al San Paolo gli azzurri si imposero per 1-0 con rete di Fabio Pecchia, ma la gara di ritorno al Romeo Menti di Vicenza terminò
1-0 per i veneti dopo i 90 minuti regolamentari e, nei tempi supplementari, complice l'espulsione di Nicola Caccia, i biancorossi realizzarono altri due gol negli ultimi tre minuti che gli
valsero il trofeo e l'accesso alla Coppa delle Coppe 1997-1998.[69]
Nonostante l'acquisto di giocatori come Claudio Bellucci e Igor Protti (capocannoniere della Serie A 1995-1996), nella stagione 1997-1998 la crisi degli anni precedenti arrivò al culmine. Durante l'anno si succedettero sulla panchina del Napoli ben quattro allenatori (nell'ordine: Mutti, Mazzone, Galeone, Montefusco) e tre direttori tecnici (nell'ordine: Ottavio Bianchi,Salvatore Bagni e Antonio Juliano), e in campo ben quaranta calciatori (fra cui l'ormai anziano Giuseppe Giannini, Reynald Pedros, Aljoša Asanović, William Prunier, José Luis Calderón,Massimiliano Allegri), ma nessuno di loro riuscì a evitare la débâcle azzurra: con un bottino di soli quattordici punti - peggior prestazione di sempre in Serie A - il Napoli retrocedette inSerie B dopo 33 anni consecutivi di permanenza nella massima serie.[70]
Il primo anno in cadetteria fu mediocre; la squadra allenata da Renzo Ulivieri annoverava nell'organico giocatori "blasonati" ma sul viale del tramonto come Igor Shalimov e Roberto Murgitae non riuscì mai ad inserirsi nella lotta per la promozione. A gennaio arrivò l'attaccante Stefan Schwoch, ma la stagione era ormai compromessa e il Napoli chiuse il torneo a metà classifica.
Il ritorno in A avvenne solo l'anno dopo, stagione 1999-2000, grazie all'oculata gestione del nuovo allenatore Novellino e alle ottime prestazioni di Stefan Schwoch, che con 22 reti realizzate eguagliò il record di gol messi a segno in una singola stagione con la maglia azzurra, detenuto fino a quel momento da Antonio Vojak.[71] Quell'anno il Napoli aveva nel proprio organico elementi di sicuro avvenire, come Massimo Oddo, Matuzalem, Roberto Stellone e Luciano Galletti. Il 7 luglio 2000 entrò in società l'imprenditore romagnolo Giorgio Corbelli, che affiancò Ferlaino alla guida del club ricoprendo la carica di presidente.[72]
Nonostante i meriti e l'affetto dei tifosi, i due protagonisti del ritorno in A (Novellino e Schwoch) non ottennero la riconferma: il tecnico passò al Piacenza, mentre l'attaccante venne ceduto al Torino. Il Napoli si affidò al tecnico boemo Zdeněk Zeman,[73] esonerato dopo sei partite e sostituito con Emiliano Mondonico. Nonostante alcune prestigiose vittorie (6-2 allaReggina, 2-1 in casa dei campioni d'Italia in carica della Lazio e l'1-0 all'Inter) e la presenza in squadra di calciatori come Edmundo, Amauri (arrivati entrambi nel mercato di gennaio),Matuzalem, Marek Jankulovski, Nicola Amoruso e Claudio Bellucci, il Napoli non riuscì ad evitare l'immediato ritorno in serie cadetta.[74]
Nel campionato successivo di serie B arrivò come allenatore Luigi De Canio. La squadra era competitiva e fra le favorite per la promozione: lottò fino all'ultima giornata per ritornare inSerie A, riuscendo a risalire dai bassifondi della classifica fino ai primi posti, inanellando una serie lunghissima di risultati utili consecutivi; ma nella partita decisiva, in casa contro laReggina, ottenne solo un pareggio (1-1): la stagione finì col Napoli quinto, con la massima serie soltanto sfiorata.
Il 22 giugno 2002 Giorgio Corbelli cedette le sue quote societarie all'industriale alberghiero Salvatore Naldi,[75] che affidò la squadra all'allenatore Franco Colomba. Il
mediocre rendimento della squadra, che si ritrovò anche al penultimo posto in classifica, portò all'esonero del tecnico e all'ingaggio di Franco Scoglio, che lasciò l'incarico di CT
della Libia. La squadra risalì timidamente la classifica, ma poi andò di nuovo in crisi ed in panchina venne richiamato Colomba, che riuscì nell'intento di salvare la squadra da una
clamorosa retrocessione in C1 solo all'ultima giornata con un pareggio a Messina.
Nella stagione 2003-2004 le difficoltà finanziarie impedirono l'adeguato potenziamento della squadra: l'allenatore Andrea Agostinelli venne esonerato in corso d'opera per far
posto al rientrante Luigi Simoni, ma il risultato fu un mediocre quattordicesimo posto.
Alla crisi di risultati si aggiunse l'ormai compromessa situazione finanziaria, che portò nell'estate del 2004 al fallimento del club ed alla conseguente perdita del titolo sportivo.[76]. Dopo gli ultimi mesi di vita passati tra amministrazioni controllate e ricapitalizzazioni, molti sono gli imprenditori che, senza successo, provano a riportare il calcio a Napoli. nel mese di agosto è però l'imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis a rilevare il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrivere la squadra, con la denominazione Napoli Soccer, al campionato di Serie C1.[77][78] Nel ruolo di Direttore Generale della neonata società venne scelto Pierpaolo Marino, già dirigente azzurro nella seconda metà degli anni ottanta.[79]
La società prese parte alla Serie C1 2004-2005. In quella stagione la squadra - costretta anche ad una campagna acquisti effettuata in tempi ristretti - terminò il girone di andata a due punti dalla zona play-off. Con gli acquisti di calciatori di buon livello come Emanuele Calaiò, Inácio Piá e Marco Capparella ed in seguito all'esonero del tecnico Giampiero Ventura (cui subentra Edoardo Reja), il Napoli arrivò terzo alla fine del campionato, ma perse la finale play-off contro l'Avellino, pareggiando 0-0 in casa e perdendo 2-1 ad Avellino. L'intera estate venne vissuta con la speranza, rivelatasi poi vana, di un ripescaggio in cadetteria.
Nella stagione 2005-06, il Napoli, grazie anche agli acquisti di Gennaro Iezzo, Rubén Maldonado e Mariano Bogliacino, ebbe un ottimo avvio sia in campionato che in Coppa Italia, competizione nella quale venne eliminato solo agli ottavi di finale dalla Roma (prima aveva eliminato Pescara, Reggina e Piacenza). Gli azzurri vennero promossi nella serie cadetta con un notevole distacco sulle inseguitrici, con quattro giornate d'anticipo sulla fine della stagione regolare con Emanuele Calaiò che si mise in evidenza segnando diciotto reti.[80]
Al termine della stagione, il 23 maggio 2006, il presidente De Laurentiis, mantenendo la promessa fatta all'atto della sua acquisizione del titolo sportivo dalle mani del tribunale, restituì al club la denominazione originaria di Società Sportiva Calcio Napoli, volutamente non utilizzata nei due campionati di terza serie.[81]
L'ultimo atto della stagione fu la finale di Supercoppa di Serie C1 persa contro lo Spezia: nella doppia finale prevalse la squadra ligure grazie allo 0-0 interno nella gara d'andata e all'1-1 al "San Paolo".
Nel campionato 2006-07 l'obiettivo fu il salto di categoria in un torneo interessante e difficile, a causa della presenza di squadre di ottimo valore, prima fra tutte
la Juventus (retrocessa in serie cadetta in seguito a Calciopoli).
Per puntare alla promozione vennero acquistati calciatori di valore come Paolo Cannavaro (fratello minore di Fabio Cannavaro) e Samuele Dalla Bona e giocatori di sicura
affidabilità come Maurizio Domizzi, Christian Bucchi (capocannoniere della Serie B 2005-2006), il giovane difensore austriaco György Garics ed il
trequartista Roberto De Zerbi.
In campionato la squadra si mantenne costantemente nelle prime tre posizioni; infine, registrata la promozione della Juventus, il Napoli giunse al confronto diretto dell'ultima giornata, in casa del Genoa, secondo in classifica e con un punto di vantaggio proprio sui liguri. Il pareggio a reti bianche di Marassi e il concomitante pareggio del Piacenza (unica squadra che era ancora in gioco per eventuali play-off), fu sufficiente a garantire sia al Napoli che al Genoa la promozione diretta, festeggiata insieme dalle due tifoserie (gemellate dal 1982) da troppo tempo lontane dal massimo palcoscenico calcistico nazionale.[82]
Per il ritorno in Serie A, il Napoli modificò leggermente la propria politica gestionale, puntando ancor di più, rispetto al passato, su giovani talenti che consentissero con basse spese di avere buoni rendimenti immediati e futuri - in primis l'attaccante argentino Ezequiel Lavezzi, il centrocampista slovaccoMarek Hamšík e il mediano uruguaiano Walter Gargano - affiancandoli a giocatori di esperienza come Manuele Blasi, Marcelo Zalayeta e Matteo Contini; in panchina venne confermato Reja, che divenne uno dei tecnici più longevi della storia del club. Nel mercato di gennaio, poi, vennero acquistati Daniele Mannini e Fabiano Santacroce dal Brescia, Michele Pazienza dalla Fiorentina e Nicolas Navarro dall'Argentinos Juniors. In campionato, il Napoli superò squadre importanti come Inter, Milan e Juventus e chiuse all'ottavo posto con 50 punti, centrando la qualificazione per l'Intertoto dopo quasi 14 anni dall'ultima partecipazione in una competizione europea.[83] In Coppa Italia gli azzurri vennero eliminati dalla Lazio agli ottavi di finale (3-2 in totale: 2-1 aRoma e 1-1 a Napoli). Il capocannoniere azzurro in campionato fu il ventenne centrocampista Marek Hamšík con 9 reti.
In vista della stagione successiva, Pierpaolo Marino mise a segno cinque acquisti: Leandro Rinaudo dal Palermo,Christian Maggio dalla Sampdoria, Germán Denis dall'Independiente, Salvatore Aronica dalla Reggina, Andrea Russotto arrivato con la formula del prestito con diritto di riscatto dal Bellinzona e confermò per il quarto anno di fila Reja come allenatore. Nel mercato di gennaio venne invece messo a segno l'acquisto di Jesús Dátolo dalBoca Juniors, mentre dalla lista degli svincolati viene ingaggiato il portiere Luca Bucci.
Superati i greci del Panionios in Intertoto (arrivata alla sua ultima edizione) e gli albanesi del Vllaznia nei preliminari di UEFA, il Napoli si qualificò per il tabellone principale, dove venne eliminato dal Benfica al primo turno. In Coppa Italia la squadra uscì ai calci di rigore contro la Juventus nei quarti di finale. In campionato gli azzurri partirono con notevole slancio (20 punti nelle prime 9 giornate) e chiusero il girone di andata al quinto posto, ma un clamoroso tracollo portò la squadra a tre mesi e mezzo senza vittorie; ne fece le spese il tecnico Reja, esonerato dopo più di 4 anni di militanza sulla panchina azzurra e sostituito dall'ex CT della Nazionale Roberto Donadoni.[84] Il Napoli raccolse appena 13 punti nel girone di ritorno, chiudendo il campionato al 12º posto con 46 punti. Marek Hamšík si confermò capocannoniere dei partenopei con 9 reti.
La società partenopea decise di voltare pagina e intervenne con decisione sul mercato: arrivarono Fabio Quagliarella, Luca Cigarini, Hugo Campagnaro,Juan Camilo Zúñiga, Morgan De Sanctis e l'attaccante austriaco Erwin Hoffer. Sul fronte partenze, le cessioni più rilevanti furono quelle di Daniele Mannini (passato in comproprietà alla Sampdoria nell'ambito dell'operazione Campagnaro), Manuele Blasi e Marcelo Zalayeta, ceduti in prestito rispettivamente a Palermo e Bologna.
L'inizio di campionato sembrò però ricalcare il rendimento mediocre della stagione precedente, e così venne rivoluzionata la struttura societaria: il 28 settembre 2009 si interruppe consensualmente, dopo 5 anni, con il DG Pierpaolo Marino, colui che aveva affiancato De Laurentiis fin dai primissimi -difficili- giorni di vita della nuova società, nonostante il contratto rinnovato solo pochi mesi prima.[85] Stessa sorte toccò a Roberto Donadoni, sollevato dall'incarico il 6 ottobre 2009 dopo aver raccolto 7 punti in 7 partite e sostituito con Walter Mazzarri.[86] Contemporaneamente, dalla Reggina arrivò il Direttore Sportivo Riccardo Bigon, figlio di Alberto, allenatore del secondo scudetto azzurro.[87] Sotto la guida del tecnico toscano il Napoli inanellò una serie di 15 risultati utili consecutivi, tra cui le vittorie in casa di Fiorentina e Juventus, che permisero ai partenopei di chiudere il girone d'andata al terzo posto, eventualità che non si verificava dalla stagione 1991-1992.[88][89] Nonostante una leggera flessione nel girone di ritorno, il Napoli chiuse il torneo al 6º posto con 59 punti, miglior risultato dalla stagione 1993-1994 e record di punti in massima serie con i 3 punti per vittoria, garantendosi così l'accesso diretto all'Europa League.[90] Per il terzo campionato consecutivo, Marek Hamšík fu il capocannoniere della squadra (12 gol).
Nella stagione seguente, confermato Mazzarri alla guida tecnica, il Napoli puntò sulla conferma dell'ossatura della squadra cui venne aggiunto l'attaccante uruguaiano Edinson Cavani, proveniente dal Palermo, con la conseguente cessione di Fabio Quagliarella alla Juve, con conseguenti polemiche dei tifosi sia verso la società che verso il giocatore, reo di aver accettato la corte di uno storico nemico. Cavani però si rese protagonista di una stagione dal notevole rendimento, caratterizzata da 26 gol in campionato (battuto il precedente record di Antonio Vojak) e 33 complessivi in stagione, che contribuirono a mantenere la squadra azzurra costamente ai vertici classifica; il Napoli è comunemente designato come principale avversario del Milan nella lotta-scudetto , e l'inseguimento dura fino al finale di campionato, che la squadra conclude al terzo posto (70 punti, nuovo record con i 3 punti per vittoria) e alla conseguente partecipazione diretta in UEFA Champions League, competizione dalla quale i partenopei mancavano da 21 anni.. InEuropa League La squadra supera agevolmente gli svedesi dell'Elfsborg per poi essere inserita in un prestigioso girone con FC Liverpool, Steaua Bucarest e gli olandesi dell'FC Utrecht. Il Napoli riesce a superare in extremis la fase a girone dopo clamorose rimonte e gol segnati allo scadere. Cadrà però ai sedicesimi di finale contro il Villareal dopo uno 0-0 al S. Paolo e il 2-1 in terra iberica.
(fonte wikipedia)
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