Il ragù napoletano è
una salsa che ha una lunga storia e che ha subito notevoli evoluzioni nel corso del tempo.
L'antenato del ragù
napoletano è un piatto molto antico e di tradizione popolare.
Esso deriva da un piatto della cucina popolare medioevale provenzale che aveva nome "Daube de boeuf" e che era uno stufato di carne di bue, parti molto coriacee, mescolate a verdure e cotto
lungamente in un recipiente di creta. Questo piatto pare risalga al tredicesimo/quattordicesimo secolo.
Il "ragout", invece,
che è un piatto francese posteriore, è sempre uno stufato con verdure, ma, generalmente, di carne di montone.
Il termine francese ragout deriva dall'aggettivo "ragoutant" che significa allettante, appetitoso o stuzzicante.
Questo tipo di
preparazione francese inzia a comparire nella cucina napoletana dal diciottesimo secolo, però come piatto di mense ricche realizzato con carni di manzo o di vitello qualità e ancora senza
pomodoro.
Di esso parla già
Vincenzo Corrado nel suo libro "Il cuoco galante" che risale alla prima metà del settecento.
Dello stufato parla
anche Ippolito Cavalcanti nelle prime edizioni della sua "Cucina teorica pratica" che risalgono alla prima metà dell'ottocento e cita anche per la prima volta dei maccheroni conditi con sugo di
stufato e formaggio grattuggiato.
Nelle edizioni sucessive qualche volta il Cavalcanti parla del sugo di stufato con il nome di "brodo rosso", senza però citare esplicitamente il pomodoro fra gli ingredienti di cottura dello
stufato.
In una delle ultime edizioni infine cita per la prima volta la parola "ragù" riferendosi ai maccheroni nel seguente contesto:
"...li frammezzerai
in zuppiera con once 12 di parmigiano grattuggiato e sugo di carne ovvero brodo di ragù".
Ma anche in questo caso
non specifica se vi entri o meno il pomodoro.
Dell'uso del pomodoro
nel ragù, invece, parla, forse per la prima volta, Carlo Dal Bono che nella sua opera "Usi costmi di Napoli" risalente al 1857, cosi descrive la distribuzione dei maccheroni da parte dei
tavernai.
"Talvolta poi dopo
il formaggio si tingono di color purpureo o paonazzo, quando cioè il tavernaio del sugo di pomodoro o del ragù (specie di stufato) copre, quasi rugiada di fiori, la polvere del
formaggio".
La parola ragù,
ovviamente, è una deformazione del termine francese "ragout" che rispecchia la sua effettiva pronuncia. Questa è un deformazione tipica del dialetto napoletano che ritroviamo anche nei termini:
sartù, gattà , crocchè, purè.
L'acquisizione nel
dialetto napoletano di questi termini derivati dal francese, avviene proprio nel periodo a cavallo fra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo quando, sotto il regno di Ferdinando IV di
Borbone vi fu una grande influenza della cultura e delle mode francesi nella corte Borbonica.
Ferdinando IV di
Borbone era diventato contemporaneamente re di Napoli, col titolo di Ferdinando IV, e re di Sicilia, con il nome di Ferdinando III, alla giovane età do otto anni, a seguito della nomina del padre
Carlo come re di Spagna.
Aveva poi sposato Maria
Carolina di Asburgo Lorena figlia di maria Teresa d'Asburgo Imperatrice d'Austria.
Ferdinando fu
spodestato dal regno di Napoli nel 1805 da Napoleone che lo sostituì prima con il fratello Giuseppe e poi con il cognato Gioacchino Murat.
Ferdinando fu poi restaurato dal Congresso di Vienna nel 1816, ma per motivi di carattere politico, i due regni di Napoli e di Sicila furono riunificati nel Regno delle due Sicilie e pertanto
Ferdinando assunse il titolo di Ferdinando I Re delle Due Sicile.
Maria Carolina, un po'
gelosa del rango nobiliare più importante della sorella minore, mandava in continuazione emissari alla corte di Francia per essere aggiornata su tutte quelle che erano le tendenze di moda nella
corte di Parigi e tendeva ad importare queste mode nella corte di Napoli.
In particolare, per
quello che interessa noi, gli chef della corte e di tutta la nobiltà al seguito erano chef francesi o italiani (generalmente liguri, di scuola francese) che, come concesso successivamente da
Gioacchino Murat, potevano fregiarsi del titolo di "Monsieur" che a Napoli poi fu trasformato in "Monzù".
Questi cuochi, che
venivano dalla scuola gastronomica francese, trovandosi a Napoli, cominciarono ad utilizzare nelle pietanze gli ingredienti locali cui, però, applicarono tecniche di cottura e di preparazione
tipicamente francesi.
Una di queste fu appunto il ragù dove ad una ricetta di stufato francese aggiunsero l'odore tipico della cipolla napoletana e poi introdussero l'uso del pomodoro sotto forma di conserva, cioè la
crema di pomodoro essicata al sole che si era ampiamente diffusa a Napoli per la facile ed economica forma di conservazione del pomodoro.
Inoltre essi introdussero, dopo la stufatura iniziale delle carni, la tecnica della lunga soffrittura della conserva di pomodoro con le cipolle che è uno degli elementi cardine del gusto e del
profumo del ragù napoletano.
Perà , ovviamente,
nelle loro mani il piatto perse parte delle sue origini popolari e povere per diventare una maniera di cucinare pezzi di carne nobili di vari animali destinati al consumo sulle tavole della corte
o dei palazzi nobiliari.
Successivamente il ragù
fu scoperto dal popolo, come salsa adatta al condimento dei maccheroni in unione al formaggio, e rapidamente si diffuse come piatto popolare.
Questa rapida
diffusione fu favorita dal fatto che il tipo di cottura prolungata dello stufato consentiva di rendere commestibile degli scarti di carne di vitellone o giovenca (annecchia in napoletano), che
altrimenti erano quasi immangiabili, ma che erano anche l'unico tipologia di carne che il sottoprolietariato napoletano si poteva economicamente permettere e solo alla domenica.
Da quel periodo il ragù
cominciò a diffondersi in tutti gli strati della società napoletana e ad espandersi anche al di fuori di della provincia di Napoli nelle altre provincie della Campania e nelle altre regioni
dell'Italia meridionale.
In questa capillare
diffusione, però, il ragù cominciò a suddividersi in rivoli di vari tipi di ricette con vari tipi di carne e finì per perdere alcuni degli aspetti della sua vera identità .
I tipi di carne
cominciarono ad essere diverisificati: da carni di scarto si cominciò a passare a pezzi di carne interi di primo taglio, tipicamente il "lacerto", cioè il girello, con la conseguenza che si
dovette in parte snaturare la ricetta trasformando il ragù da da uno stufato ad un un brasato per consentire un tipo di cottura più adatto per pezzi di primo taglio teneri e a basso contenuto di
tessuto connettivo; la conserva di pomodoro fu, a poco a poco soppiantata dal concentrato industriale.
Invalse anche l'uso di
aggiungere alla fine anche del passato di pomodoro in sostituzione della sola acqua o del brodo, riducendo , però, contemporaneamente il concentrato fino ad arrivare ad eliminare la fase di
soffrittura del concentrato o addirittura alla completa eliminazione del concentrato stesso; tutte pratiche che andavano sempre più snaturando la ricetta classica modificandone anche il
sapore.
Si cominciò anche a
diversificare sul tipo di carne introducendo nel ragù anche la carne di maiale o esclusivamente quella, utilizzando come parti le "tracchiolelle" (punta delle costole) oppure le "gallinelle" che
sono il muscolo del polpaccio. Si introdusse il "ragù con la braciole" (in napoletano la braciola è sinonimo di involtino), mentre in provincia si diffusero ragù con carni miste, ad Avellino ad
esempio si fa il ragù anche con l'agnello, il maiale ed il vitellone. Insomma un guazzabuglio di salse, tutte buone, ma, che pur chiamdosi tali non sono il vero originale ragù
napoletano.
Secondo quanto ci
racconta la moglie Isabella Quarantotti nel suo libro "Se cucina comme voglio i'", anche il grande Eduardo, un napoletano che più napoletano di lui non si riesce ad immaginare, nella sua ricetta
del ragù utilizza poco concentrto e poi adopera la passata di pomodoro, inoltre alla protagonista della sua commedia "Sabato, domenica e lunedi" fa fare una descrizione della preparazione del
ragù che quella tipica di un brasato e non di uno stufato.
Oggi infine, sono tanti
quelli che dopo aver rosolato un po' la carne, gettano in pentola cipolla e passato di pomodoro ed osano chiamare ciò ragù, sol perché magari cuociono a fuoco lento per un paio d'ore. Questo,
come diceva Eduardo, "è carne c' 'a pummarola"
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