Vomero | |
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Veduta della collina del Vomero | |
Stato | Italia |
Regione | Campania |
Provincia | Napoli |
Città | Napoli |
Circoscrizione | Municipalità V |
Altri quartieri | Arenella |
Superficie | 2,17 km² |
Abitanti | 47 947 ab. |
Densità | 22 095,39 ab./km² |
Nome abitanti | vomeresi |
Il Vomero è uno dei quartieri collinari di Napoli, i suoi abitanti sono chiamati vomeresi.
Confina a nord con il quartiere Arenella, ad ovest con i quartieri Soccavo e Fuorigrotta; a sud con il quartiere Chiaia e ad est con il quartiere Montecalvario e, sempre ad est, ma per pochissimi metri, con il quartiere Avvocata.
Con la "riforma del decentramento" deliberata nel 2005, il Vomero con l'Arenella forma la Municipalità V, che, con i suoi 120.000 abitanti, è la più densamente popolata della città. Il punto più alto del quartiere è la Certosa di San Martino con 251 m.
« Questa contrada detta il Vomere è ricca di monasteri e di bellissime casine per essere l'aria salutifera avendo un aspetto al mare » |
(Carlo Celano) |
In epoca romana, la collina vomerese era chiamata Paturcium (probabilmente da Patulcius, nome connesso a Giano, il dio a cui la collina era dedicata) e nell'alto Medioevo, per corruzione linguistica, Patruscolo o Patruscio. Il toponimo attuale, attestato alla fine del Cinquecento (quando si riferiva però non all'intera collina, ma ad un antico casale), trae presumibilmente origine dalla sua antica vocazione agricola e al gioco del vomere, un passatempo contadino che sanciva come vincitore chi, con il vomere dell'aratro, avesse tracciato un solco quanto più possibile dritto. Comunque proprio l'attività legata ai campi e la gran messe di verdure coltivate gli valsero per secoli il soprannome di Collina dei broccoli.
Fino alla fine del XIX secolo il Vomero costituiva una periferia pressoché disabitata e lontana dalla città di Napoli, le sue parti più antiche come il rione Antignano, erano nuclei abitativi rurali, villaggi che sin dai tempi dei Romani sorgevano sulla "Via Puteolis Neapolim per colles" strada che prima dello scavo della galleria di collegamento traFuorigrotta e Mergellina costituiva l'unico collegamento via terra tra la zona flegrea e la città. Intorno al II secolo d.C.la strada fu risistemata e chiamata via Antiniana, da cui il nome al rione. Proprio nell'antico villaggio che oggi è il rione di Antignano la tradizione vuole sia avvenuto per la prima volta il miracolo di San Gennaro, tra il 413 e il 431.
Successivamente, dopo la
dominazione Normanna e quella Sveva, con gli Angioini Napoli divenne capitale nel 1266(rimase tale fino all'Unità d'Italia nel 1860). Cominciò a sorgere
dunque l'esigenza di risalire le pendici della collina vomerese, soprattutto per ragioni strategiche. La zona cominciò dunque a popolarsi soprattutto a partire dalla costruzione del Chiostro
Certosino nel 1325 e quasi contemporaneamente gli Angioini sostituirono l'antico torrione di vedetta (d'epoca normanna) vicino al quale sorse il Chiostro, con
il Castello di Belforte, nucleo di partenza del Castel Sant'Elmo. L'assetto del restante territorio vomerese rimase tuttavia immutato.
Sotto gli Aragonesi e poi sotto gli spagnoli, Napoli andò incontro ad un vertiginoso aumento demografico, dovuto alla forte immigrazione dalla penisola iberica e dal resto del
regno. La necessità di allargare il territorio cittadino indusse il viceré Pedro Álvarez de Toledo a dirigere lo sviluppo della città (allora solo pianeggiante) verso le pendici delle
colline, rimaste fino a quel momento prive di significativi insediamenti abitativi. Tuttavia, nel 1556 una legge vietò la costruzione di nuovi edifici intorno a Sant'Elmo e,
nel 1583, anche sulle pendici del colle.
Nel periodo dei viceré successivi a Don Pedro, l'espansione edilizia seguì, provocando la fusione di innumerevoli borghi; anche sulla collina iniziarono a formarsi agglomerati più omogenei, villaggi e casali. NelSeicento nella cartografia della città si iniziano a rappresentare le prime costruzioni collinari.
Durante la peste del 1656, la collina fu utilizzata come rifugio da parte della nobiltà e del clero: si era infatti affermata la tendenza nell'aristocrazia residente nel centro storico a costruirsi una seconda casa al Vomero, tendenza che si accentuerà nel corso del Settecento, soprattutto grazie all'apertura della nuova "strada Infrascata" (Via Salvator Rosa). Tra le tante famiglie nobiliari che si stabilirono al Vomero, i Carafa, i Conti di Acerra, i Ruffo di Sicilia, i Cacciottoli, i Cangiani.[2]
Nel 1817, il Vomero fu promosso al rango di residenza non solo nobiliare, ma anche regale, con l'acquisizione di una villa da parte di Ferdinando I di Borbone: la futura Floridiana.
Nel 1809, nella nuova divisione amministrativa della città operata da Gioacchino Murat, tutti i villaggi del Vomero entrarono a far parte della città vera e propria, nelcircondario dell'Avvocata. Infine, verso la metà del secolo XIX, l'apertura di Corso Maria Teresa (ribattezzato Corso Vittorio Emanuele dopo il 1860), voluta daFerdinando II, delimitò il confine inferiore del futuro quartiere Vomero.
Lo sviluppo abitativo vero e proprio del Vomero ebbe inizio verso la fine dell'Ottocento, più precisamente nel 1885, con la fondazione (nell'ambito della legge "per il Risanamento di Napoli") del Nuovo Rione e la progettazione di un tracciato viario a maglia reticolare e schema radiale che applicava i dettami razionalistici in voga in tutta l'urbanistica europea di fine secolo, secondo l'esempio della Parigi del Barone Haussmann (esperienze analoghe nell'urbanistica italiana si riscontrano nei quartieri romani Esquilino e Testaccio). Fin dal primo momento il Vomero venne concepito come un quartiere residenziale destinato alle classi alto-borghesi: le splendide ville e palazzine in stile tardo Libertyche vennero realizzate in gran numero agli inizi del secolo attorno alla Villa Floridiana e verso l'area di Castel Sant'Elmo e di San Martino costituirono fino alla metà del Novecento il tratto distintivo del nuovo quartiere.
Già prima della legge di Risanamento, inoltre, una banca piemontese, la banca Tiberina, aveva acquistato al Vomero terreni compresi tra San Martino, via Belvedere e Antignano, con l'intenzione di costruirvi un nuovo quartiere (già Garibaldi, in effetti, aveva pensato alle zone collinari come potenziali nuovi rioni, in cui però egli riteneva si dovesse ospitare il proletariato). La posa della prima pietra da parte dei sovrani avvenne l'11 maggio1885 e, il 20 ottobre 1889, il Nuovo Rione venne inaugurato, con l'apertura della Funicolare di Chiaia, cui seguì la Funicolare di Montesanto nel 1891.
Fino a quella data, ma ancora per diversi decenni dopo, la vita e quindi la storia della collina vomerese e quella della città di Napoli si sono evolute separatamente. "Vado a Napoli", "Scendo a Napoli" erano le frasi dei vomeresi per indicare il tragitto verso il centro. Ma, dopo l'11 maggio 1885, il Vomero inizia lentamente a saldarsi territorialmente con la città. Una saldatura che, conclusasi alla fine del Novecento, inevitabilmente significherà importare tutti i problemi irrisolti ereditati dalla storia difficile della città di Napoli.
Primo esempio di costruzioni di tipo "urbano" furono i "Quattro palazzi" di Piazza Vanvitelli, edificati all'inizio del XX secolo dalla Banca Tiberina. Dopo l'inizio dei lavori, tuttavia, la scarsa reattività del mercato (dovuta alle difficoltà economiche dell'epoca e ai collegamenti ancora difficoltosi tra la città e la collina) spinse la banca (proprietaria delle aree edificate e delle due funicolari) a cedere nel 1899 i suoi diritti alla Banca d'Italia. Ciò provocò la sospensione per diversi anni delle opere previste dal piano di urbanizzazione (frutto della Convenzione stipulata tra Comune e Banca Tiberina). All'inizio del Novecento risultavano dunque realizzati (oltre al tracciato della lottizzazione) esclusivamente una parte degli edifici al centro del Vomero (tra Piazza Vanvitelli, lungo via Scarlatti e via Morghen). Tutte le nuove costruzioni erano in stile neorinascimentale, che a Napoli si protrarrà fino al primo trentennio del Novecento, trascinandosi negli anni i progetti di fine ottocento.
La Banca d'Italia, per recuperare i capitali investiti, decise di vendere gli immobili già costruiti e i terreni, e frazionare gli isolati in piccoli lotti più facilmente vendibili. Conseguentemente, nei primi anni del XX secolo non si ebbe un impetuoso sviluppo urbanistico, ma sorse un'edilizia meno intensiva, di villini a due, tre piani, circondati da graziosi giardini; i quali, peraltro, avevano la capacità di valorizzare maggiormente gli aspetti paesistici dei luoghi, rispetto ai grandi edifici umbertini. Il gusto architettonico che caratterizzò il periodo, fino alla metà degli anni venti, fu quello definito liberty unitamente a quello cosiddetto neoeclettico.
"L'edilizia dei piccoli lotti, iniziata al principio del secolo, proseguì anche dopo il primo conflitto mondiale e continuò a richiamare un nuovo ceto sociale, in grado di acquisire villini monofamiliari o per poche famiglie, formato principalmente da professionisti, imprenditori, persone comunque agiate che, con le loro esigenze ed il loro modo di vivere, definirono il carattere del nuovo quartiere, dove in questo periodo la vita cominciò a prendere le proprie abitudini, ruotando attorno a Piazza Vanvitelli, alle funicolari, agli assi di via Scarlatti e via Luca Giordano. (...) Continuò lo sviluppo delle zone di via Aniello Falcone, via Palizzi, la "Santarella"; si aprirono grandi scuole prestigiose (la "Vanvitelli", il "Sannazaro"), luoghi di svago elitari, come il teatro "Diana", inaugurato nel 1933 dal principeUmberto, i cinema, i ristoranti, i caffè (...); cliniche pulite ed efficienti, l'elegante chiesa di stile basilicale paleocristiano di San Gennaro, il nuovo polo sportivo del Littorio, negozi eleganti. Non si contavano poi gli artisti. Il Vomero di questo periodo è quello che viene descritto con rimpianto nei libri che lo rievocano, quello che ha creato il mito nell'immaginario collettivo, quello della nostalgia, il "Vomero scomparso", il "Paradiso Perduto", quello di una realtà unica ed irripetibile."[3]
L'apertura della nuova Funicolare Centrale, nel 1928, facilitando gli spostamenti fra il Vomero e il centro, portò ad un incremento significativo dell'urbanizzazione, che si orientò nuovamente verso i grossi fabbricati, realizzati anch'essi secondo i vari stili allora di moda (dal liberty al neoeclettismo, al primo razionalismo). Il nuovo centro abitato si espanse fino a raggiungere gli antichi villaggi (Vomero Vecchio, Antignano), inglobandoli.
Nel secondo dopoguerra, la sempre più consistente domanda abitativa e la conseguente speculazione edilizia degli anni sessanta, da inizio alla costruzione di diversi fabbricati residenziali, causando però la scomparsa di molti giardini e la distruzione di villini antichi e in stile Liberty; il Vomero si è andato configurando come quartiere alto-borghese, arrivando ad inglobare l'Arenella e spingendosi fino alle pendici della collina dei Camaldoli, non senza alcuni autentici scempi edilizi (come la famigerata Muraglia Cinese di Mario Ottieri su Via Aniello Falcone, o i palazzi di Via Caldieri).[4]
Attualmente il Vomero è una zona residenziale con un'alta densità abitativa e commerciale, che conserva l'immagine di quartiere ameno, ricco ed agiato.
Al Vomero, in particolare nelle sue zone pedonali come via Scarlatti e via Luca Giordano, sono presenti molti negozi prestigiosi e frequentati locali notturni, teatri, bar e ristoranti che fanno del Vomero uno dei quartieri più eleganti di Napoli.
Il quartiere conserva ancora molti esempi dell'architettura originaria, che costituiscono un patrimonio per tutta l'architettura italiana. Inoltre è ancora possibile osservare, oltre ai monumenti già citati, costruzioni storiche, quali, ad esempio, alcune delle più antiche ville nobiliari (Villa del Pontano, Villa Belvedere, Villa Regina,Villa Lucia, Villa Haas, Villa Presenzano o Diaz, Villa Ricciardi, Villa Leonetti, Villa Salve) e un antico edificio del dazio borbonico, nel rione Antignano.
Tra il corso Vittorio Emanuele ed i giardini della Certosa di San Martino c'è la Vigna San Martino presente da circa sei secoli.
Nel 1915 venne fondata ufficialmente la Polifilms di Giuseppe Di Luggo. La società, nata nel 1912 come società di distribuzione cinematografica con il nome De Luggo &
C., nel 1914 venne trasformata in una manifattura cinematografica, denominata originariamente Napoli Film, con sede e teatro di posa in via Cimarosa.Nei primi anni
del Novecento sorsero proprio al Vomero alcune tra le prime case di produzione cinematografiche italiane. La prima in città fu la Partenope Film(originariamente Fratelli
Troncone & C.), di Guglielmo, Vincenzo e Roberto Troncone, che, nata nel 1906, fu attiva per circa vent'anni, con sede e teatri di posa in via Solimena.
Nel 1919 la Polifilms in difficoltà economiche cedette i suoi impianti e teatri di posa a Gustavo Lombardo, già titolare della società di distribuzione SIGLA (Società Italiana Gustavo Lombardo Anonima), il quale diede vita alla Lombardo Film, la futura Titanus.
Il Liceo Sannazaro divenne luogo di incontro e di coordinamento della Resistenza, qui il professor Antonio Tarsia in Curia il 30 settembre 1943 si autoproclamò capo degli insorti assumendo pieni poteri civili e militari. È nella palestra di questo stesso liceo che i corpi dei caduti delle Quattro giornate furono trasportati per la commemorazione.
Oggi nel quartiere sono poste, a memoria degli eventi, tre lapidi: sulla facciata del Liceo Sannazaro[6], accanto all'ingresso della caserma dei Carabinieri a Piazza Quattro Giornate, e la terza, probabilmente la più importante, in Via Belvedere di fronte all'antico ingresso principale della masseria Pagliarone ove nacque la prima rivolta.
Il quartiere ospita anche il complesso polisportivo cresciuto intorno allo Stadio Arturo Collana di Napoli, dove si praticano rugby, judo, atletica, nuoto, pallavolo, ginnastica artistica, pattinaggio, tennis, scherma, football americano ecalcio.
Lo stadio, sorto in epoca fascista con il nome di "Stadio dei martiri fascisti" o "Stadio Littorio", è stato a lungo il campo di casa del Napoli prima del completamento dello Stadio San Paolo nel 1959, ed è tuttora quello della A.P. Partenope Rugby.
Fu anche scenario di drammatici avvenimenti durante le Quattro giornate di Napoli, e pertanto l'attigua piazza ha successivamente assunto il nome di Piazza Quattro Giornate.
Il Vomero è stato anche la sede dalla squadra femminile di basket Vomero Basket campione d'Italia nella stagione 2006-07 anche se la stessa ha giocato a lungo alPalaBarbuto per l'impraticabilità della palestra del Collana.
Infine dalla stagione 2012-13 lo Stadio Arturo Collana ospita la squadra di calcio femminile di Napoli.
In questo quartiere vi è anche la sede del Tennis Club Vomero, che ospita ogni manifestazioni nazionali ed internazionali di tennis.
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